Digital Divide, un baratro da colmare

Digital Divide, un baratro da colmare

Lo "scarto" nel digitale tra i paesi del mondo è molto elevato, e al contrario di quanto si potrebbe pensare, è molto ben radicato anche nel continente europeo
Lo "scarto" nel digitale tra i paesi del mondo è molto elevato, e al contrario di quanto si potrebbe pensare, è molto ben radicato anche nel continente europeo


Web (internet) – In quello che gli americani considerano Digital Divide, si possono annoverare tutte quelle attrezzature e competenze digitali che hanno fatto la loro comparsa negli ultimi anni. Non solo quindi, anche se in prevalenza, internet, ma tutto quello che riguarda le tecnologie legate in qualche modo all’utilizzo del computer.

Per verificare il divario tra i paesi del mondo in quanto a tecnologie, internet ed elettronica, possiamo dunque prendere in considerazione, oltre alla diffusione della rete, il livello del software che viene commercializzato, la qualità della grafica dei siti web, lo stato delle telecomunicazioni e la cultura, l’utilizzo e la conoscenza delle nuove tecnologie come mezzo di comunicazione. Nell’uso quotidiano, nelle aziende e nella pubblica amministrazione.

Per iniziare a misurare il problema del “divario digitale” che preoccupa gli esperti e che viene preso in sempre maggiore considerazione come tale dalle istituzioni internazionali, ci vuole poco. In realtà, infatti, basta partire dai dati della diffusione di internet in Europa, in recupero ma ancora indietro rispetto agli States, o a quella di altre aree del mondo, dall’Africa centrale ad ampie zone dei Caraibi, per le quali internet è ancora una chimera. Si può parlare, evidentemente, di primo, secondo e terzo mondo digitale.

Attualmente si calcola che in America e Canada gli utenti di internet siano attorno al 30% della popolazione, contro una penetrazione media in Europa di circa il 6%, con percentuali nazionali che variano dal 32% della Norvegia all’1% della Grecia, con l’Italia che detiene un “misero” 2,5%-3%. Questi dati, pur relativi alla sola rete, consentono però di intuire quanto sia disomogenea la capacità delle nazioni nel cammino verso l’innovazione tecnologica.

Il settore delle telecomunicazioni gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di ogni singolo paese, e ne armonizza la capacità di produrre ricchezza per tutti gli altri settori dell’economia; così l’impiego di nuovi servizi di comunicazione consentirà lo sviluppo di modalità di lavoro più flessibili con notevole beneficio per l’intero settore produttivo.

Alcune grandi società europee, in ritardo rispetto a quanto già avviene negli USA, se ne sono rese conto: minori costi, maggiore produttività, vantaggi competitivi e minore impatto sull’ambiente. Tuttavia in Europa esiste ancora un divario tra il potenziale tecnologico e le applicazioni effettive. Se prendiamo alcuni dei settori indicativi per calcolare l’entità del divario digitale, come ad esempio gli investimenti per l’information technology nelle scuole, per l’ammodernamento dei processi lavorativi e produttivi nelle imprese e per la diffusione nelle famiglie delle nuove tecnologie, le zone del globo più povere risultano lontane anni luce dai paesi industrializzati, e la nostra Italia si ritrova surclassata dagli Usa e in forte ritardo rispetto a Inghilterra, Francia e Germania.


In questo contesto si inserisce una piccola divisione del Dipartimento di stato americano : quella dei Global Technology Corps . Si tratta di una partnership pubblico-privata americana che recluta volontari altamente specializati in tecnologie digitali da impiegare in progetti mondiali a breve termine e di breve durata.

Il GTC si basa su compagnie, persone e organizzazioni che sono disposti a dedicare il loro tempo, la loro esperienza e le loro risorse per aiutare a diffondere i benefici sociali ed economici dell’accesso all’informazione tecnologica. Le attività dei Corps variano dal sostegno alle attività che integrano tecnologie del computer a veri e propri corsi di computer e di quanto ad essi è legato. Corsi anche “a domicilio”, per così dire, ovvero presso i centri e i paesi dove il bisogno di innovazione è più forte.

Altri progetti in cantiere hanno come fine il portare computers o collegamenti ad internet nelle università o nei centri di comunità in differenti punti del mondo, educare la popolazione senza trascurare le esigenze dell’impresa e delle amministrazioni governative. Tanto per fare due esempi, in Polonia due volontari dei Corps hanno impiegato due settimane del loro tempo ad insegnare agli operatori della protezione civile del luogo come usare le più recenti tecnologie per migliorare i piani di risposta ai disastri, e in altri paesi si lavora con i locali ministeri dell’Istruzione per offrire accessi alla rete agli studenti considerati i primi a dover entrare in contatto con le novità hi-tech per offrire “un futuro” a sé stessi e agli altri.

Lo staff che compone il corpo è formato esclusivamente da volontari, che non percepiscono neanche una lira di compenso per il lavoro che svolgono, ma vengono supportati e possono usare come base per le loro operazioni ogni ambasciata americana all’estero. Come dice John Hoffman, colonnello a riposo della guardia nazionale del North Carolina ed ora membro di spicco dei GTC, la cosa più gravosa è senza dubbio quella di ottenere l’hardware necessario. Ogni multinazionale del settore è disposta a fornire tutto il materiale necessario quando c’è una crisi che ottiene una risposta dalla stampa e dai media internazionali, ma al di fuori di quello che fa notizia è difficile trovare qualcuno disposto a fornire anche solo 10 o 15 computers.

Questa, insieme all’alfabetizzazione informatica delle scuole secondarie e delle università, pare essere però una delle strade possibili e più promettenti per colmare il gap, il “Digital Divide”, tra i paesi che detengono il potere digitale, che qualcuno chiama “il potere del futuro”, e quelli che invece rimangono invischiati in potenti burocrazie trascurando le autostrade informatiche. Ma queste, c’è da scommetterci, assumeranno una importanza sempre maggiore rispetto alle autostrade d’asfalto…

Luca Biagiotti

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Pubblicato il
21 gen 2000
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