Digitalizzazione documentale, che fine fa la PEC?

Digitalizzazione documentale, che fine fa la PEC?

di A. Lisi (Studio Lisi) - La Camera approva il Disegno di Legge di conversione del Decreto Anti-Crisi: nel nuovo testo mette in discussione la PEC e il ruolo dei notai nei processi di digitalizzazione documentale
di A. Lisi (Studio Lisi) - La Camera approva il Disegno di Legge di conversione del Decreto Anti-Crisi: nel nuovo testo mette in discussione la PEC e il ruolo dei notai nei processi di digitalizzazione documentale

Poco più di un mese fa commentavamo in maniera solo parzialmente positiva la rivoluzione contenuta nel D.L. “anti-crisi” ( D.L. 185/2008 ): nell’art. 16 del D.L., da una parte, la posta elettronica certificata continuava a essere imposta a suon di moniti e sanzioni e, dall’altra, si apriva la strada a una piena “dematerializzazione” degli originali analogici unici. Alla Camera è stata da poco votata la fiducia, con 327 voti a favore e 252 contro, posta dal Governo sull’approvazione, senza emendamenti e articoli aggiuntivi, dell’articolo unico, nel testo delle Commissioni, del disegno di legge ( C 1972 ) di conversione del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185.

L’art. 16 del DL 185/2008 ha subito delle modifiche rilevanti per il futuro sia della PEC e sia delle strategie di digitalizzazione documentale. Si riportano alcuni commi dell’articolo nell’ultima versione passata alla Camera:


6. Le imprese costituite in forma societaria sono tenute a indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese o analogo indirizzo di posta elettronica basato su tecnologie che certifichino data e ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e l’integrità del contenuto delle stesse, garantendo l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto tutte le imprese, già costituite in forma societaria alla medesima data di entrata in vigore, comunicano al registro delle imprese l’indirizzo di posta elettronica certificata. L’iscrizione dell’indirizzo di posta elettronica certificata nel registro delle imprese e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria.
7. I professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi ordini o collegi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Gli ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato, consultabile in via telematica esclusivamente dalle pubbliche amministrazioni, i dati identificativi degli iscritti con il relativo indirizzo di posta elettronica certificata.

Nell’articolo emendato dal Parlamento di fatto si rende possibile per pubbliche amministrazioni, società e professionisti l’utilizzo, accanto alla PEC, di altri sistemi di trasmissione elettronica dei messaggi che certifichino la data e l’ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e garantiscano l’integrità del contenuto delle comunicazioni trasmesse e ricevute, assicurando l’interoperabilità con analoghi sistemi internazionali (interoperabilità non del tutto garantita – come si sa bene – dal nostro sistema, tutto italiano, di posta elettronica certificata).
Insomma, in nome della neutralità tecnologica, si è dovuto finalmente dare ragione a chi da tempo sostiene che il sistema di posta elettronica certificata (e non solo quello!) non poteva essere prescritto ex lege e la normativa che lo voleva imporre presentava al suo interno profili di contrasto con la legislazione comunitaria . È giusto riferire che la questione andrebbe affrontata con maggiore dettaglio e specificità in modo da far riferimento nella norma a precisi standard internazionali. Ma la strada seguita è quella giusta e allinea la normativa italiana a quella europea (anche in materia di trasmissione elettronica delle fatture).

Continuando l’analisi dell’art. 16, diamo uno sguardo ad alcuni commi aggiunti ex novo nell’ultima versione approvata alla Camera:


10-bis. Gli intermediari abilitati ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340, sono obbligati a richiedere per via telematica la registrazione degli atti di trasferimento delle partecipazioni di cui all’articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nonché al contestuale pagamento telematico dell’imposta dagli stessi liquidata e sono altresì responsabili ai sensi dell’articolo 57, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In materia di imposta di bollo si applicano le disposizioni previste dall’articolo 1, comma 1-bis.1, numero 3), della tariffa, parte prima, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, come sostituita dal decreto del Ministro delle finanze 20 agosto 1992, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 196 del 21 agosto 1992, e successive modificazioni.
10-ter. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabiliti i termini e le modalità di esecuzione per via telematica degli adempimenti di cui al comma 10-bis.
Questi commi, sull’onda della semplificazione, confermano la rivoluzione già avviata con la “manovra di Fine Estate” ( D.L. 112/2008 , poi convertito con modifiche nella Legge 6 agosto 2008, n. 133 ), secondo la quale è consentito il trasferimento di quote di S.r.l. anche attraverso un semplice documento informatico provvisto di firma digitale, senza prevedere l’utilizzo della sottoscrizione autenticata dal notaio (come invece previsto nell’art. 2470 c.c. II comma).

Proseguiamo con le novità. Rimane inalterato il comma 12:

I commi 4 e 5 dell’articolo 23 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante “Codice dell’amministrazione digitale”, sono sostituiti dai seguenti:
“4. Le copie su supporto informatico di qualsiasi tipologia di documenti analogici originali, formati in origine su supporto cartaceo o su altro supporto non informatico, sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale è assicurata da chi lo detiene mediante l’utilizzo della propria firma digitale e nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71.
5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri possono essere individuate particolari tipologie di documenti analogici originali unici per le quali, in ragione di esigenze di natura pubblicistica, permane l’obbligo della conservazione dell’originale analogico oppure, in caso di conservazione ottica sostitutiva, la loro conformità all’originale deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato con dichiarazione da questi firmata digitalmente ed allegata al documento informatico.”.
Nel comma 12 dell’art. 16 si rende possibile una conservazione sostitutiva degli originali analogici unici a cura del “detentore” del documento cartaceo (o comunque a cura del responsabile della conservazione da lui nominato), il quale semplicemente apporrà la sua firma digitale (e assicurerà la validazione temporale a chiusura del processo), salvo eccezioni che saranno indicate con successivo decreto ministeriale finalizzato a individuare solo specifiche categorie documentali per le quali esigenze pubblicistiche determinino un obbligo di conservazione dell’originale analogico o comunque rendano indispensabile una sostituzione “certificata” del documento analogico unico con la sua copia conforme digitale, a cura di un pubblico ufficiale. Insomma, la presenza del notaio diventa un’eccezione nei processi di dematerializzazione degli originali analogici unici e ci saranno rilevanti, positive conseguenze per i processi di digitalizzazione di contratti, documenti privacy, polizze assicurative e altre tipologie documentali per le quali ancora si nutrivano (immotivati) dubbi in merito alla loro possibile sostituibilità in digitale.

La soluzione prospettata dal legislatore appare certamente apprezzabile e in linea con quanto sostenuto dal Consiglio di Stato in un suo autorevole parere del 7 febbraio 2005, secondo il quale ” non si comprende perché l’attestazione di conformità non possa essere fatta da chi ha formato l’atto o chi lo riceve “. Pur apprezzando l’intenzione del legislatore di conferire un forte impulso alle politiche di dematerializzazione, soprattutto nel settore privato, appare comunque doveroso riferire che la riforma contenuta nel D.L. (e non toccata nel D.L. approvato dalla Camera) desta qualche perplessità. Prima di tutto il concetto di “detentore” rimane piuttosto indefinito. Chi è costui? Il legittimo titolare dei documenti originali unici? O il semplice possessore di questi documenti? Anche la forma utilizzata nel definire la fattispecie non è particolarmente felice, infatti, si spiega nell’articolo che le copie su supporto informatico di qualsiasi tipologia di documenti analogici originali, formati in origine su supporto cartaceo o su altro supporto non informatico, sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale è assicurata da chi lo detiene (non sarebbe stato più corretto scrivere “li detiene” o quanto meno “da chi detiene legittimamente l’originale del documento”?). E, ancora, perché si è voluto eliminare dal comma 4 dell’art. 23 del CAD il richiamo alla figura fondamentale del “Responsabile della conservazione sostitutiva”? Quel comma costituiva l’unica fonte primaria in cui veniva fatto espresso riferimento a tale figura, che adesso risulta ricavabile solo dalla deliberazione CNIPA n 11/2004 e da una lettura interpretativa dell’art. 44 del CAD… un po’ troppo poco, considerata la rilevanza della figura nelle strategie di dematerializzazione!

Infine, un’altra rilevante novità è contenuta nel DL approvato alla Camera. Viene introdotto un nuovo comma, il 12bis che inserisce un nuovo articolo nel nostro codice civile:

12-bis. Dopo l’articolo 2215 del codice civile è inserito il seguente:
“Art. 2215-bis. – (Documentazione informatica). – I libri, i repertori, le scritture e la documentazione la cui tenuta è obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento o che sono richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa possono essere formati e tenuti con strumenti informatici.
Le registrazioni contenute nei documenti di cui al primo comma debbono essere rese consultabili in ogni momento con i mezzi messi a disposizione dal soggetto tenutario e costituiscono informazione primaria e originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge.
Gli obblighi di numerazione progressiva, vidimazione e gli altri obblighi previsti dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri, repertori e scritture, ivi compreso quello di regolare tenuta dei medesimi, sono assolti, in caso di tenuta con strumenti informatici, mediante apposizione, ogni tre mesi a far data dalla messa in opera, della marcatura temporale e della firma digitale dell’imprenditore, o di altro soggetto dal medesimo delegato, inerenti al documento contenente le registrazioni relative ai tre mesi precedenti.
Qualora per tre mesi non siano state eseguite registrazioni, la firma digitale e la marcatura temporale devono essere apposte all’atto di una nuova registrazione, e da tale apposizione decorre il periodo trimestrale di cui al terzo comma.
I libri, i repertori e le scritture tenuti con strumenti informatici, secondo quanto previsto dal presente articolo, hanno l’efficacia probatoria di cui agli articoli 2709 e 2710 del codice civile”.
Questa novità desta non poche perplessità. Infatti, pur se si ritiene più che opportuno inserire nel nostro codice civile norme che legittimino finalmente i documenti informatici, si sta di fatto introducendo nel codice uno strumento tecnico (come la marca temporale, la quale ha anche un costo…) che tra qualche anno potrebbe essere superato. Ad avviso di chi scrive, in un codice civile sarebbe stato più opportuno e preferibile utilizzare una formula più generica e astratta, che rinvii eventualmente a specificazioni tecniche contenute in normative di dettaglio.
Infine, per quanto riguarda i libri contabili (libri giornale, registri IVA ecc.) il termine di tre mesi ha poco senso e soprattutto appare evidente una disparità di trattamento con i libri analogici. Non si vuole procedere con una forte spinta legislativa verso la semplificazione? Perché allora complicare le cose a chi vuole finalmente marciare in modo digitale?

Andrea Lisi
Presidente dell’Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti
ANORC
Studio Legale Lisi

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Pubblicato il
19 gen 2009
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