Le attività abbassano le serrande. Il clima di crisi economica in cui si vive non sembra destinato a risolversi nel breve e non è raro trovarsi di fronte a dati sconfortanti che dimostrano la chiusura in Italia di oltre 15mila imprese nostrane nel solo 2014 , per un totale di 104mila (comprese le procedure concorsuali non fallimentari e le liquidazioni volontarie) chiusure registrate a partire dal 2008.
Eppure non tutto è in crisi e alcuni numeri più rassicuranti dimostrano che anche in Italia ci sono ampi spazi di crescita in settori non tradizionali, che dovrebbero essere presi in considerazione per la sopravvivenza delle piccole e medie imprese. Così, si sciorinano spesso informazioni oltremodo positive sull’andamento dell’ e-commerce , che, nonostante il crollo dei mercati, vanta crescite a doppie cifre .
L’e-commerce nostrano come ricetta anti-crisi
A sostenere che l’e-commerce italiano funziona è l’annuale report redatto da Netcomm , che dimostra chiaramente come anche nel nostro territorio il commercio elettronico è una pratica che funziona bene e che sta dando parecchio supporto a tutta una serie di imprese che si sono lanciate nella sfida del digitale, convinte di non poter trarre più nulla di buono dalle modalità di vendita tradizionali e territoriali.
Secondo Netcomm, il 2014 chiude con un incremento del 22 percento delle transazioni online che raggiungono la cifra record di 200 milioni per un totale di 9.9 milioni di consegne mensili con scontrini medi dell’ordine dei 90 euro .
L’e-commerce è così un’esperienza che interessa oltre 13 milioni di italiani ed è così appagante che chi fa e-commerce diffonde la pratica fra i suoi amici e parenti, a tal punto che il commercio elettronico diventa quasi una pratica virale .
Si acquistano online i pacchetti viaggio per la vacanza da sogno (oltre a voli e alberghi), i prodotti elettronici, i libri cartacei e i servizi assicurativi , ma c’è anche ampio spazio per i prodotti più tradizionali, dall’abbigliamento fashion, alla cura e bellezza tramite prodotti parafarmaceutici e di cosmesi , senza contare che, in minima parte, valgono anche gli acquisti alimentari e di altre tipologie di settori.
Si acquista non solo da PC, ma molto anche da mobile (18 percento degli acquisti effettuati da smartphone e 12 percento da tablet) e lo scopo degli acquirenti è quello di avere un’ampia scelta , trovando beni non altrimenti reperibili nella propria zona di acquisto a prezzi che siano il più vantaggiosi possibile. La conversione dell’utente in acquirente è poi mediata da alcuni aspetti di non poco conto, come la spedizione gratis, le attese brevi con tempi di consegna certe e il buon compromesso fra qualità e prezzo .
L’e-commerce italiano vola, ma pochi ne approfittano
Di fronte a questa crescita che sembra poter far da volano per l’economia commerciale nostrana, soppiantando almeno in parte le perdite dovute alla scarsità degli affari locali e offline, non tutte le imprese riescono a guardare all’e-commerce come a un’opportunità.
Così, come spesso accade nel BelPaese, si delinea una discrepanza fra le opportunità disponibili e le reali scelte delle PMI .
Un esempio su tutti è il settore enogastronomico. Nel settore della produzione del vino, l’Italia svetta con i suoi 44.4 miliardi di ettolitri di vino prodotti da una rete di imprenditori che spesso fanno parte dell’eccellenza dei vini mondiali con un giro d’affari di oltre 14 miliardi di euro . Questa produzione non sembra però capace di invadere il Web nostrano, con vendite elettroniche che si attestano al di sotto della media mondiale dell’1.8 percento, dietro Cina, USA, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna.
E non è tutto. A dimostrare l’incapacità dei connazionali di cogliere l’opportunità di ripresa offerta dall’e-commerce è sempre la stessa Netcomm, che in una relazione alla Camera dei Deputati svela che le capacità del commercio elettronico sono in realtà disponibili per il solo 4 per cento delle imprese italiane totali .
Questo divario fra potenzialità e stato delle cose sembra sia dovuto a una difficoltà di accesso alla Rete soprattutto nelle zone meno popolose della Penisola (si pensi ai ritardi accumulati dall’Italia sui piani della Banda Larga voluti dall’Europa), a una scarsa cultura informatica, a una poca fiducia e comprensione dei mezzi offerti dal Web e a una scarsa capacità di trovare aziende di consulenza IT davvero capaci di offrire degli strumenti validi per traghettare qualsiasi attività sull’Internet mondiale.
A volte a porre un freno alla conversione digitale sono i costi e le difficoltà negli adempimenti burocratici legati alle questioni fiscali, alla doppia scontrinazione, all’emissione della fattura e via discorrendo. E anche se su questo piano si cerca di muoversi recependo importanti norme europee come il MOSS (Mini One Stop Shopping) , (perché l’e-commerce rappresenta anche per lo Stato una possibilità di non poco conto per la lotta contro l’evasione fiscale, obbligando a una completa tracciabilità tanto chi vende quanto chi acquista), in realtà l’Italia mostra tutta la sua arretratezza che potrebbe far perdere ancora una volta un’opportunità di crescita agli operatori nostrani.
L’e-commerce italiano e i mercati esteri
Possibilità di successo che non vengono smarrite solo entro i confini nazionali.
Le aziende che perdono il treno dell’e-commerce, perdono in realtà quello della competizione estera . Il Web, infatti, non è territoriale e non è detto che ad acquistare siano solo utenti appartenenti alle regioni dello stivale.
Un’altra recente ricerca, infatti, dimostra che circa il 31 per cento del fatturato delle aziende connazionali che svolgono e-commerce viene generato all’estero .
Fuori confine, infatti, non è solo l’apprezzamento del prestigioso Made in Italy a vendere, ma è anche il valore stesso dell’e-commerce ad essere oltremodo positivo.
Si fa e-commerce negli USA , dove il solo settore alimentare, in cui l’Italia ha una grande tradizione con cui competere, promette una crescita del 21 per cento oltre i 600 miliardi di dollari l’anno di vendite già svolte.
Si fa e-commerce in India, dove si è arrivati addirittura a utilizzare i dabbawala (i celebri fattorini di Mumbai porta gavette) per supportare in modo efficiente un mercato che secondo le previsioni varrà oltre 16 milioni di dollari entro il prossimo 2018 .
Si fa e-commerce in Cina, dove il 2019 porterà il commercio elettronico a quota di 1 bilione di dollari , in un mercato in cui tutto il Made in Italy (dall’abbigliamento al settore enogastronomico) è davvero molto apprezzato.
E questi sono solo tre dei tanti esempi internazionali di successo del commercio elettronico, a cui le PMI italiane potrebbero legarsi per rialzare le proprie sorti e registrare fatturati importanti in contro tendenza alla crisi.
L’e-commerce come opportunità anche per il meridione
Ed è così che il commercio elettronico dovrebbe essere una reale alternativa anche alla crisi delle regioni del sud Italia, attraverso progetti innovativi, startup e con il sostegno delle autorità locali. E se l’accesso alla banda larga sembra essere un problema in via di risoluzione, con una serie di interventi e investimenti (provenienti dai fondi europei) che rischiano di rovesciare la situazione Nord e Sud sulla questione Digital Divide, resta da affrontare le difficoltà a reperire sul territorio aziende IT capaci di convogliare gli strumenti del commercio elettronico nelle realtà radicate a una tipologia di commercio davvero molto tradizionale.
E in questi ambiti, così come in tante altre occasioni, che l’iniziativa del singolo commerciante potrebbe fare la differenza e la sua fortuna, magari costruendo da sé una propria cultura digitale, anche con l’aiuto di alcuni strumenti come gli e-commerce builder proposti da alcuni provider nostrani, con cui cercare di presentarsi in Rete con una propria identità e uno strumento di facile comprensione e uso.
Insomma, l’e-commerce è una occasione tale da non poter perdere, affidandosi anche a soluzioni di e-commerce pronti all’implementazione, compatibili con i budget limitati delle piccole realtà imprenditoriali e ottimizzati anche per il commercio mobile.