Roma – Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vannino Chiti ha rilasciato ieri dichiarazioni, alla Camera, che contraddicono quanto da lui già espresso in una intervista apparsa la scorsa settimana su Repubblica.it a proposito della legge sull’editoria.
Rispondendo ad alcuni chiarimenti richiesti dal relatore della legge, il diessino Giuseppe Giulietti, Chiti ha affermato (fonte: ASCA) che la legge “non impone alcun vincolo aggiuntivo (e in particolare, alcun vincolo di iscrizione al registro dei comunicatori previsto dalla legge cosiddetta Maccanico del 1997) per i siti Internet; neppure per i siti Internet che fanno esclusivamente o professionalmente informazione”.
Su Repubblica.it, Chiti dichiarava pochi giorni fa che: “La legge dice che se uno fa un giornale online (…) è giusto (…) che abbia una forma di registrazione”. Insistendo che se un sito pubblica periodicamente informazioni “e in modo continuato ha un rapporto informativo io sostengo che è giusto registrarsi”.
Come noto le interpretazioni originarie di Chiti erano state di fatto smentite da Mauro Masi, estensore della legge, secondo cui nessun obbligo è previsto per chi non vuole godere dei contributi pubblici. Una tesi condivisa anche dallo stesso Giulietti che però auspicava un documento di interpretazione ufficiale della legge da parte del Governo, documento che fino a questo momento non è arrivato e la cui assenza continua a rappresentare una preoccupazione notevolissima per tutti coloro che fanno informazione online.
Curioso dunque che, a fronte di questo, proprio Chiti abbia insistito ieri alla Camera sostenendo che questa legge “non ammette né potrebbe ammettere, da parte di nessuna autorità, interpretazioni diverse rispetto a quella votata dalle Camere”. Nessun documento interpretativo dunque?
La conclusione delle dichiarazioni di Chiti sembra dimostrare che il sottosegretario abbia ora imboccato il binario dell’interpretazione già proposta da Masi, e cioè che sarà il regolamento attuativo della stessa “che dovrà prevedere, questo sì, delle regole per chi vuole, naturalmente su base volontaria, accedere ai contributi”, cioè agli sgravi per gli editori online che intendono farsi sostenere dalla collettività.
Queste dichiarazioni sembrano comunque rappresentare un passo avanti notevole, perché è evidente che persino chi ha promosso questa legge, oggi ne ha compreso finalmente le contraddizioni. Ed è solo ovvio che cerchi di “parare” rimandando ad un regolamento attuativo che non è peraltro previsto da questa legge, che invece si rifà alla legge Maccanico.
Con il passare dei giorni, come intelligentemente annotava ieri Vita.it, grazie alla mobilitazione la legge è stata analizzata e giudicata da più soggetti online, anche da chi fino ad oggi se ne era occupato poco o niente. Pur tra molte differenze, su un punto chi fa informazione in Rete è d’accordo: la legge è fatta male e così com’è può rappresentare un rischio.
Oggi la petizione contro questa nuova legge è sostenuta da circa 35mila sottoscrittori e quasi 3mila siti, numeri imponenti che sono alla base delle riflessioni che in questi giorni sono state fatte su una normativa che rischiava di passare sotto silenzio.
Anche per questo è difficile comprendere l’atteggiamento di alcuni editori online di vecchia data che hanno rapidamente liquidato la questione minimizzando o addirittura azzerando i possibili effetti della legge. Un atteggiamento difficilmente comprensibile, non solo se si analizza la legge ma anche se si osserva da dove viene e quanti altri tentativi in questi anni siano stati fatti per “regolamentare Internet”. Un atteggiamento che diventa comprensibile solo ad una lettura maliziosa, quella che associa queste minimizzazioni, persino più assolutiste di quelle di alcuni parlamentari protagonisti di questa legge, alla possibilità per gli editori online di ottenere una parte degli sgravi e delle sovvenzioni distribuiti dalla legge.
Da segnalare, infine, dopo le prese di posizione dei radicali , di Rifondazione comunista , dei giovani socialisti e di altri gruppi politici, il comunicato emesso ieri da netWork, “associazione tecnologica” che per i Democratici di Sinistra si occupa di nuove tecnologie. Nella nota, netWork difende la legge ma sostiene la necessità di un documento di interpretazione ufficiale affinché nessun tribunale possa giudicare la legge in modo diverso da quanto fin qui espresso da alcuni dei protagonisti della vicenda.