Mentre Geoffrey Hinton da anni profetizza la distruzione dell’umanità a causa dell’AI, Reid Hoffman alza gli occhi al cielo. Il co-fondatore di LinkedIn ha una teoria semplice: abbiamo già sentito questa storia troppo spesso. Ogni volta che arriva una nuova tecnologia, qualcuno grida alla fine del mondo. Eppure, siamo ancora qui.
Nel suo ultimo libro “Superagency“, Hoffman non nega che l’AI cambierà profondamente le nostre vite. Ma la mette sullo stesso piano delle altre grandi rivoluzioni industriali della storia umana. Non come l’apocalisse che molti temono, ma come l’ennesimo strumento che l’umanità ha inventato per semplificarsi la vita.
Perché Reid Hoffman non teme l’AI
Hoffman trova divertente (si fa per dire) come ogni generazione pensi che la sua rivoluzione tecnologica sarà quella definitiva. La sua tesi è che noi umani non siamo più Homo Sapiens da un pezzo. Siamo diventati “Homo Technologicus“. Esseri che sopravvivono e prosperano creando strumenti sempre più sofisticati. L’intelligenza artificiale è solo l’ultimo della serie.
Il controllo fuoco, l’invenzione della scrittura, la rivoluzione industriale. Ogni volta qualcuno avrà detto “stavolta abbiamo esagerato“. Eppure eccoci qui, con 8 miliardi di persone sul pianeta e una qualità di vita che i nostri antenati non potevano nemmeno immaginare. E i dati gli danno ragione, almeno per ora.
Se l’intelligenza artificiale fosse davvero così pericolosa, forse non la useremmo così tranquillamente per scrivere email, fare riassunti o generare presentazioni. È un po’ come dire che l’elettricità è pericolosa mentre hai il telefono in mano collegato alla corrente.
Cosa accadrà nei prossimi anni?
Hoffman non è un ingenuo ottimista. Sa che la transizione sarà difficile e che alcune persone ne soffriranno più di altre. I primi a sentire gli effetti, dice, saranno “quelli che si comportano già come robot“, presumibilmente chi fa lavori molto ripetitivi e standardizzati. Ma la sua visione del futuro è affascinante.
Entro la fine del decennio, prevede che molti di noi avranno in tasca un assistente medico più competente del medico di famiglia attuale. Nello stesso dispositivo, un professore universitario virtuale sarà in grado di insegnarci qualsiasi cosa, con una pedagogia personalizzata per il nostro modo di apprendere. È l’evoluzione logica di quello che già vediamo con ChatGPT e gli altri assistenti AI.
Una delle idee più interessanti di Hoffman riguarda il tempo di lavoro. Se l’AI può aiutarci a produrre la stessa ricchezza in meno tempo, perché non ridurre l’orario lavorativo? Il ragionamento fila. L’idea di una “società del tempo libero” non è nuova, ma con l’AI potrebbe finalmente diventare realtà. Almeno per chi riuscirà ad adattarsi e a lavorare insieme alle macchine invece di essere sostituito da loro.
La differenza tra finzione e realtà
Hoffman attribuisce molta della paura verso l’AI all’influenza della fantascienza. Terminator, 2001 Odissea nello Spazio, Matrix, in tutti questi film l’intelligenza artificiale indossa i panni del “cattivo”. Ma la realtà è molto più banale e molto meno drammatica. L’AI che usiamo oggi ci aiuta a scrivere meglio, a programmare più velocemente, a trovare informazioni più facilmente. Non sta pianificando di conquistare il mondo… Sta cercando di capire cosa vogliamo per pranzo o come risolvere un bug nel codice.
È vero che le AI future saranno più potenti, ma saranno anche progettate da esseri umani con obiettivi umani. L’idea che improvvisamente decidano di ribellarsi appartiene più al cinema che alla realtà.
Una questione di prospettiva storica
La forza dell’argomento di Hoffman sta nella prospettiva storica. Ogni grande innovazione ha causato panico e previsioni apocalittiche. L’automobile avrebbe spaventato i cavalli e causato incidenti mortali (vero, ma abbiamo imparato a gestirla). La televisione avrebbe rovinato i cervelli dei bambini (discutibile, ma siamo sopravvissuti). L’intelligenza artificiale seguirà probabilmente lo stesso schema. Un periodo di adattamento difficile, nuove regole, nuovi problemi da risolvere, e alla fine una normalità diversa ma gestibile.
La differenza è che stavolta il cambiamento è più veloce. Ma forse, proprio per questo, saremo costretti a adattarci più in fretta e a trovare soluzioni prima che i problemi diventino insormontabili.
Reid Hoffman potrebbe sbagliarsi, ovviamente. Ma la sua prospettiva offre un antidoto salutare al catastrofismo che domina molte discussioni sull’AI. A volte, per capire il futuro, bisogna guardare al passato e ricordarsi che l’umanità è sempre stata brava a inventare problemi e poi a risolverli.