La relazione annuale del Garante della Privacy Francesco Pizzetti, pur non discostandosi enormemente dalle precedenti versioni, approfondisce due argomenti particolarmente caldi: quest’anno sono presenti due allegati in più, uno relativo alle questioni legate all’utilizzo di smartphone e tablet, l’altro al cloud computing.
Nel primo caso interessa al Garante la diffusione di dispositivi mobile e dell’utilizzo di mobile app e i possibili meccanismi da implementare per aumentare le garanzie degli utenti. Così, l’intenzione di mister privacy è quella di dare indicazioni per un utilizzo consapevole dei servizi mobile, mentre per quanto riguarda il cloud computing si tratta di mettere ben in luce i vantaggi e rischi dell’esternalizzazione dei dati per un uso consapevole di questo genere di servizi.
Le imprese e gli operatori a cui il mercato offre questi nuovi servizi, infatti, “pensano soprattutto alla diminuzione di costi o alle opportunità di costante ammodernamento che queste tecnologie consentono, prestando scarsa attenzione al fatto che comportano la perdita del possesso fisico dei dati e dei programmi operativi che utilizzano”.
Quello del Garante della privacy, d’altronde, non è affatto un discorso di paura e diffidenza nei confronti delle possibilità del futuro e delle nuove tecnologie: queste e la Rete, in generale, rappresentano uno “spazio di democrazia” e “uno strumento fondamentale per promuovere la libertà e lo spazio politico in cui si combatte la lotta tra democrazia e repressione”.
Per questo “non bisogna mettere bavagli”, benché a volte possa apparire giustificato da “ragioni di sicurezza”: da evitare è il pericolo di un “controllo oppressivo e repressivo che può limitare la libertà dei cittadini e vanificare la grande risorsa positiva della rete come comunicazione globale”.
Tuttavia vi sono dei paletti da porre: “L’avanzata delle nuove tecnologie, che non può e non deve essere fermata né ostacolata, deve essere regolata a garanzia di tutti”, per non correre il rischio, ad esempio, come ormai avviene con l’uso degli smartphone, di essere “quasi sempre inconsapevolmente un Pollicino” che segnala i propri spostamenti.
“Serve – dice in definitiva il Garante – una informativa di rischio come per l’uso dei farmaci”. D’altronde, gli utenti “tendono a delegare la gestione di molti aspetti della propria vita sia personale che professionale alle nuove tecnologie, le quali fanno sempre più spesso impiego di informazioni personali”.
Dito puntato , inoltre, contro il telemarketing, una forma “inaccettabile di invasione della sfera privata e domestica”, per cui appare inadeguato anche il nuovo sistema pensato contro le telefonate indesiderate, il registro delle opposizioni: a distanza di quattro mesi dal suo debutto “sta manifestando limiti e difetti maggiori di quanto previsto”, almeno di quanto previsto dalle autorità che ritenevano potesse risolvere il problema il passaggio da un sistema opt-in ad uno opt-out, che in realtà, come paventavamo diversi osservatori, non ha fatto che complicare e ingarbugliare la situazione.
“Stanno emergendo – ha spiegato il Garante – non solo i limiti del sistema e del suo funzionamento, ma anche la difficoltà di definire la catena della responsabilità di fronte a trattamenti che vedono coinvolti una pluralità di soggetti, dalle imprese interessate ai call center”.
Anche per questo vi sono state centinaia di segnalazioni di protesta che i cittadini (soprattutto quelli che pur essendo iscritti al registro continuano a essere disturbati) hanno rivolto al Garante in questi ultimi mesi: oltre mille rispetto alle trecento del 2010 quando vigeva il meccanismo inverso e più del novanta per cento riguardano proprio le violazioni del registro delle opposizioni.
La prima conseguenza dei perduranti disagi è che il registro delle opposizioni non verrà esteso al marketing postale .
Claudio Tamburrino