Un nuovo caso di “geolocalizzazione selvaggia” alimenta la discussione pubblica attualmente in corso negli USA sulla legittimità dei tracciamenti per indagini senza mandato giudiziario. La American Civil Liberties Union (ACLU), promotrice della causa, canta vittoria mentre il governo sarà costretto a rivelare i dettagli sulle suddette indagini a tutto vantaggio del dibattito sulla faccenda.
ACLU aveva chiesto al Dipartimento di Giustizia (DoJ) di conoscere la quantità e i dettagli dei casi in cui i pubblici ministeri avevano avuto accesso alle informazioni di geolocalizzazione dei sospetti – con l’autorizzazione del giudice ma senza il mandato necessario nei casi di indagini a sfondo criminale (penali).
La prima decisione di un giudice federale era arrivata nel 2010, quando era stato sentenziato che il DoJ avrebbe dovuto rivelare i dettagli dei casi in cui i sospetti si erano rivelati essere colpevoli . Il Dipartimento si era appellato alla sentenza, e ora i tre giudici della Corte di Appello del Distretto di Columbia hanno riaffermato la validità della suddetta sentenza.
Nella decisione presa all’unanimità, il giudice Merrick Garland scrive che “la divulgazione richiesta dall’accusa servirebbe a rendere nota la discussione in corso sulla policy pubblica, facendo luce sull’estensione e l’efficacia del tracciamento cellulare come strumento di imposizione della legge”.
Il prossimo passo spetta ora al governo: il DoJ ha ancora la possibilità di fare appello e di chiamare in causa la Corte Suprema, che a ogni modo ha già accettato di pronunciarsi su un caso di geolocalizzazione riguardante le “cimici” GPS piazzate dall’FBI sulle auto di ignari cittadini statunitensi.
Alfonso Maruccia