Gli sfruttati del computing

Gli sfruttati del computing

IBM, HP e Dell sono tirati in ballo in un rapporto-scandalo sulle pessime condizioni di lavoro nei paesi in via di sviluppo nelle aziende associate ai grandi nomi del settore. Che assicurano: cambieremo. Dove nascono i PC
IBM, HP e Dell sono tirati in ballo in un rapporto-scandalo sulle pessime condizioni di lavoro nei paesi in via di sviluppo nelle aziende associate ai grandi nomi del settore. Che assicurano: cambieremo. Dove nascono i PC


Roma – Non è una novità, ma ora ad affermare con dovizia di particolari che i lavoratori del mondo informatico nei paesi in via di sviluppo vengono spesso sfruttati e discriminati è un rapporto reso pubblico dalla britannica CAFOD , organizzazione di ispirazione cattolica che si occupa di sviluppo economico nel mondo.

Nel rapporto “Clean up you computer” (“Ripulisci il tuo computer”), CAFOD pubblica le interviste e le prove raccolte in alcuni paesi, come Thailandia, Cina o Messico, che dimostrano la bassissima considerazione e le pessime condizioni di lavoro in cui si trovano i lavoratori del computing. Si tratta perlopiù di personale dipendente di aziende locali associate ai grandi nomi dell’informatica internazionale. IBM, Dell, HP ed altri sono tirati in ballo direttamente da CAFOD viste le moltissime attività che questi grossi nomi spostano all’estero proprio per sfruttare i bassi costi, evidentemente spesso troppo bassi, della manodopera.

Analizzando l’intera catena produttiva dei personal computer gli esperti di CAFOD sottolineano: “I 138 milioni di computer che nel 2003 hanno lasciato le fabbriche di PC non sono il prodotto di una qualche utopia chiamata Silicon Valley”.

Il rapporto (disponibile qui in formato pdf) porta alcuni esempi di quanto sta accadendo, come la storia di Monica, di Guadalajara, in Messico, una donna costretta a denudarsi dinanzi ad una commissione medica che voleva accertarsi dell’assenza di tatuaggi. Monica per essere assunta presso un impianto di fabbricazione di stampanti associato a Hewlett Packard ha anche dovuto sottoporsi ad un test di gravidanza . “È stata – spiega la donna – una esperienza assolutamente umiliante. La cosa peggiore che io abbia mai vissuto. Ma non sapevo a chi rivolgermi, voglio dire che fanno lo stesso con tutti”.

Quella del controllo dei tatuaggi sembra essere una pratica diffusa. Secondo CAFOD anche in altre occasioni, come nei metodi delle agenzie dedite all’assunzione di manodopera per le linee di produzione di IBM, i tatuaggi appaiono come un motivo per il quale non si viene assunti, insieme all'”essere omosessuali, avere un padre avvocato, aver fatto ricorso a sindacati o lavorato per essi, essere in stato di gravidanza o non accettare le politiche di IBM”.

Inoltre, afferma CAFOD, “le condizioni di lavoro sono spesso pericolose. Nelle diverse fasi della produzione i lavoratori possono essere esposti a sostanze chimiche dannose , a fumi di saldatura, polveri metalliche e rumore”.

Il tutto è condito poi dal fatto che in questi paesi, dove i controlli sono pressoché inesistenti, si lavora per molte ore ogni giorno con paghe spesso al limite del ridicolo. In Thailandia, per esempio, afferma CAFOD, “un lavoratore che costruisce dischi rigidi che vengono poi montati sui computer di aziende come Dell guadagna circa 2,50 dollari al giorno . Micheal Dell, il CEO di Dell, nel 2003 ha guadagnato 134mila dollari al giorno”.

Un analista di CAFOD ha commentato il rapporto spiegando che “la situazione attuale non è accettabile. I prodotti possono anche essere le ultime novità dell’alta tecnologia ma gli standard lavorativi nella costruzione di computer sono spesso terribilmente bassi. CAFOD sta spingendo sui leader del settore perché si assumano maggiori responsabilità per i propri lavoratori. Vuole che HP, Dell e IBM adottino e garantiscano codici di condotta efficaci basati sugli standard delle Nazioni Unite”.

Ed ecco le prime risposte dei grandi nomi dell’informatica.


Nel suo rapporto, CAFOD ha dato atto ai player del computing di alcuni progressi. Gli analisti hanno spiegato che sono state spesso date istruzioni che mirano a migliorare le condizioni di lavoro degli operai dei grandi impianti nei paesi in via di sviluppo, ma sono indicazioni che fanno a pugni con una forza schiacciante , quella della necessità di competere e ridurre i costi fissi sul mercato internazionale. Necessità che spingono gli operatori locali, associati con le imprese occidentali, a tirar fuori il sangue dalle rape.

Da parte sua un colosso come IBM ha risposto alle prove presentate da CAFOD sostenendo di essere proprio in questo momento nel pieno di un processo di revisione e di monitoraggio delle pratiche produttive dei propri fornitori internazionali. A sentire IBM, dunque, l’azienda non ha intenzione di perdere di vista gli elementi fondamentali della sicurezza, salute e impatto ambientale dei lavoratori che dipendono dal proprio business e dell’ambiente nel quale vivono e lavorano.

“Noi – ha spiegato l’azienda a CAFOD – abbiamo deciso di capire meglio le politiche dei nostri fornitori e determinare se via sia una distanza tra quello che fanno e quello che noi chiediamo loro, in modo tale da occuparci immediatamente di qualsiasi gap riusciamo ad individuare tra queste due cose”.

Dell , invece, ha spiegato a CAFOD di essere consapevole che tutta la propria linea produttiva, a partire dai fornitori internazionali, deve rispondere a determinati standard di lavoro ed occupazione ma ha specificato come un controllo vero sia difficile vista la dimensione del proprio network produttivo e il fatto che sia distribuito su più paesi. “Non è qualcosa che si possa fare in una nottata – ha spiegato l’azienda – e quindi ci siamo avvicinati al problema passo per passo. Oggi tutti gli impianti di produzione Dell, con una sola eccezione, sono certificati ISO 14001 (l’impianto in Brasile sarà certificato entro il 2004)… Siamo nel bel mezzo di una implementazione per garantire e monitorare le pratiche dei nostri fornitori in materia di lavoro, salute, sicurezza e impatto ambientale”.

Per quanto riguarda HP , l’azienda ha spiegato di non sapere nulla di Monica e che CAFOD non ha portato sufficienti elementi per confermare o rigettare le accuse. “Se HP avesse avuto tempestiva conoscenza di questa informazione – ha affermato HP – avremmo preso immediati provvedimenti. Controlleremo le cose con tutti i nostri fornitori per assicurarci che le pratiche menzionate non possano riguardare le produzioni HP. Il nostro codice di condotta non consente in alcun modo né giustifica queste cose. Se ci fornirete i dettagli investigheremo ulteriormente”.

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Pubblicato il
29 gen 2004
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