Google potrebbe fermare il motore di ricerca in Australia

Google: niente più motore di ricerca in Australia?

Non una minaccia, ma un'ipotesi concreta: il peggior scenario possibile non è da escludere nel braccio di ferro tra l'Australia e Google.
Google: niente più motore di ricerca in Australia?
Non una minaccia, ma un'ipotesi concreta: il peggior scenario possibile non è da escludere nel braccio di ferro tra l'Australia e Google.

Se l’Australia obbligherà i colossi del mondo online a pagare gli editori per l’utilizzo delle notizie, dando seguito alla volontà manifestata lo scorso anno, Google lascerà il paese e i suoi utenti senza il proprio motore di ricerca. Una possibilità che viene definita concreta dal gruppo di Mountain View

L’Australia potrebbe rimanere senza le ricerche di Google

La società californiana si è già opposta nell’estate scorsa alle pretese di Canberra paragonando il proprio ruolo a quello di un’edicola, rifiutandosi di corrispondere un compenso alle testate per l’indicizzazione degli articoli e dei loro estratti, sottolineando anzi come la dinamica sia profittevole per gli addetti ai lavori poiché direziona verso le loro pagine l’attenzione di chi naviga.

Riportiamo di seguito in forma tradotta le parole di Melanie Silva (Managing Director e Vice President di Google Australia and New Zealand) rivolte ieri in Australia alla Commissione Economica del Senato e raccolte dalla redazione del Sydney Morning Herald.

Se questa versione del codice diventasse legge, non ci lascerebbe altra scelta che interrompere la disponibilità di Google Search in Australia.

La stessa Silva lo definisce “il peggiore scenario possibile”, ma al tempo stesso “non una minaccia, la realtà”. Ciò che Google teme è che la vicenda possa costituire un precedente e portare a replicare la medesima situazione altrove.

Costituirebbe un precedente insostenibile per il business e l’economia digitale. Non è compatibile con le modalità di funzionamento dei motori di ricerca e di Internet.

Restando in tema, proprio ieri è giunta la notizia di un accordo siglato in Francia da Google con un’associazione di editori in modo da stabilire un compenso da riconoscere a questi ultimi per l’utilizzo delle notizie pubblicate.

Aggiornamento (22/01/2021, 11.35): alleghiamo la versione integrale in forma tradotta dello statement attribuito a Mel Silva, Managing Director, Google Australia and New Zealand.

L’ultima versione del Codice impone a Google di pagare per mostrare link che rinviano ai siti di notizie, in contrasto con uno dei principi fondamentali su cui si basa il Web e creando un precedente insostenibile per le nostre attività, per Internet e per l’economia digitale. Questo non è solo il punto di vista di Google. Molte altre voci autorevoli hanno sollevato preoccupazioni simili nelle loro relazioni alla Commissione del Senato.

Introducendo un modello di arbitrato difettoso e requisiti impraticabili per le notifiche degli algoritmi, il Codice espone Google a livelli di rischio finanziario e operativo irragionevoli e impossibili da gestire.

Se il codice diventasse legge, Google non avrebbe altra scelta possibile se non interrompere l’accesso al servizio di Ricerca in Australia. Si tratta dello scenario peggiore che possiamo immaginare ed è l’ultima cosa che vorremmo accadesse, soprattutto perché c’è un modo per arrivare a un Codice efficace che ci consenta di supportare il giornalismo australiano senza interrompere la Ricerca.

Questa soluzione vedrebbe Google pagare gli editori tramite News Showcase, un programma di licenze che conta già quasi 450 editori partner a livello globale. Attraverso l’inserimento di News Showcase nel Codice, Google potrebbe pagare gli editori sulla base di un valore concreto e raggiungere accordi commerciali in base a un arbitrato vincolante su Showcase. Oltre a questo abbiamo anche proposto modifiche al modello di arbitrato attuale, per allinearlo a modelli largamente accettati, per favorire risultati commerciali equi, e per fare in modo che i requisiti di notifica degli algoritmi siano attuabili da Google e utili per gli editori.

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Pubblicato il 22 gen 2021
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