IBM: CPU 3D che vanno ad acqua

IBM: CPU 3D che vanno ad acqua

Big Blue prosegue i suoi studi sul raffreddamento. E ora propone chip a struttura tridimensionale con un sistema di scambio termico incorporato
Big Blue prosegue i suoi studi sul raffreddamento. E ora propone chip a struttura tridimensionale con un sistema di scambio termico incorporato

Microprocessori che si sviluppano in tre dimensioni. E che scaldano molto di più delle CPU oggi in commercio. Per questo i ricercatori dei Laboratori IBM di Zurigo, assieme ai colleghi del Fraunhofer Institute di Berlino, hanno realizzato un prototipo di un chip che incorpora un particolare sistema di raffreddamento a liquido direttamente nella struttura del semiconduttore .

Uno schema del funzionamento Le CPU tridimensionali, in termini tecnici chip stacks , sono microprocessori che si sviluppano su tre dimensioni per avvicinare i componenti: ad esempio memoria e unità elaborativa possono essere sovrapposte, riducendo il percorso che i dati devono seguire per essere trasferiti da un componente all’altro. Secondo i ricercatori le distanze sono ridotte ad 1/1000 di quelle dei chip tradizionali, e a beneficiarne sono anche le interconessioni tra gli elementi che salgono di un fattore 100.

In futuro, assicurano, sarà possibile creare dei veri e propri castelli di processori, tutti con memoria integrata e velocità stellari. Il rovescio della medaglia è il calore prodotto: tanto, troppo per essere smaltito con i sistemi convenzionali, anche a liquido. In certi casi si arriva anche ad un kilowatt di calore da smaltire per singolo chip, e le soluzioni fin qui adottate – anche quelle sperimentali – non bastano.

“Abbiamo notato che i tradizionali sistemi di raffreddamento collegati sul retro del chip offrono scarsi livelli di scalabilità – spiega Thomas Brunschwiler, a capo del progetto nei lab di Big Blue – Per poter sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia 3D chip stacking occorre un sistema di raffreddamento su più strati”. Il team si è dunque messo al lavoro, e ha ricavato delle “mini-tubazioni” da 50 micron di diametro all’interno dei vari strati, così da riuscire a condurre l’acqua là dove occorre rimuovere il calore.

Uno dei prototipi I risultati paiono essere incoraggianti: durante gli esperimenti, i tecnici sono riusciti a garantire un valore di raffreddamento pari a 180W per centimetro quadrato , abbastanza dunque per riuscire a prelevare il calore sprigionato da due unità logiche sovrapposte. Problema non da poco è stato riuscire a garantire una presenza capillare del liquido di raffreddamento nella struttura, avendo comunque cura di sigillare completamente il percorso dell’acqua per evitare che interferisca con il normale funzionamento dei chip.

L’aspetto complessivo della rete di raffreddamento non è molto diverso dall’apparato circolatorio di un essere umano. La differenza è che in questo caso il margine di errore massimo è di 10 micron, ed è stato necessario sviluppare nuove tecniche di saldatura a pellicola per garantire “i livelli desiderati di qualità, precisione e robustezza che garantisce contatti termici ed elettrici ottimali senza che si verifichino cortocircuiti”. Il tutto viene poi inscatolato in una sorta di “piccolo lavandino”, vale a dire un contenitore in silicio all’interno del quale viene iniettato il liquido di raffreddamento.

Un'immagine al microscopio

Il lavoro, assicurano da IBM, non è ancora terminato: Brunschwiler e il suo team si stanno concentrando nell’ottimizzazione del processo, e ora puntano a realizzare raffreddamenti simili con strutture ad hoc per singoli punti critici particolarmente roventi.

Luca Annunziata

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Pubblicato il 6 giu 2008
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