Palo Alto (USA) – Kurosh Kenneth Hamidi non avrebbe dovuto inviare email agli ex colleghi della Intel (era stato licenziato) utilizzando le liste di distribuzione dell’azienda. Lo ha deciso la terza corte d’appello della California a Sacramento, di fatto confermando la decisione di primo grado che aveva condannato Hamidi per il suo gesto.
Si tratta di un caso tutt’altro che secondario, come testimoniano le forti tensioni che da tempo lo circondano e le contrapposte posizioni dei gruppi dell’antispam e di quelli che sostengono i diritti civili.
Secondo i magistrati, il gesto di Hamidi è equiparabile ad una violazione di domicilio con l’intento di procurare danni. Intel, infatti, è riuscita a dimostrare i costi derivanti dall’operazione di spam messa in piedi da Hamidi, costi che sarebbero dovuti sia all’inoltro dell’email che al tempo “sottratto” ai 35mila dipendenti Intel che hanno dovuto leggere e cancellare quel messaggio. Va anche detto che Intel aveva già avvertito Hamidi che non avrebbe tollerato l’invio di quel messaggio.
Per i sostenitori dell’antispam la decisione è importante perché stabilisce il diritto del proprietario di un network di chiedere i danni per l’uso improprio dello stesso a fini spammatori. Una posizione che può suonare estrema in un caso del genere tanto da spingere Cindy Cohn, legale della Electronic Frontier Foundation, a dichiarare: “Se questa decisione rimane, tutta internet ne uscirà condizionata. Chiunque invia messaggi email dopo che gli è stato detto di non farlo rischia una denuncia da chi li riceve”. Un principio, quest’ultimo, che da sempre è perseguito da chi si occupa di antispam.