In giudizio, una email è valida?

In giudizio, una email è valida?

di Andrea Lisi (Scint.it) - In quale contesto un messaggio di posta elettronica può divenire elemento valido di giudizio? I primi casi italiani gettano uno spiraglio per comprendere il valore dell'email nel commercio e in tribunale
di Andrea Lisi (Scint.it) - In quale contesto un messaggio di posta elettronica può divenire elemento valido di giudizio? I primi casi italiani gettano uno spiraglio per comprendere il valore dell'email nel commercio e in tribunale


Roma – Un documento e-mail può essere prodotto in giudizio a sostegno dei nostri diritti? Una proposta contrattuale è valida e rilevante se inoltrata via e-mail? L’e-mail rappresenta un valido documento scritto? Può essere sottoscritto validamente un contratto attraverso lo scambio di e-mail? E questa sottoscrizione vale anche per le così dette clausole vessatorie (art. 1341 2° comma c.c.) che devono essere specificamente approvate per iscritto? Sono validi e rilevanti gli scambi telematici conclusi attraverso la sottoscrizione point&click (e cioè attraverso la digitazione del tasto negoziale “accetto”)? La sottoscrizione point&click può essere utilizzata per le clausole vessatorie?

Queste e simili domande continuano ad animare il dibattito giuridico dei giuristi che si interessano di diritto delle nuove tecnologie e le isolate pronunce giurisprudenziali su tali materie non hanno certo fatto chiarezza in proposito (si veda in particolare la controversa e giustamente criticata pronuncia del Giudice di Pace di Partanna – pubblicata da La Pratica Forense all’indirizzo http://www.lapraticaforense.it/articolo.php?idart=102b – secondo la quale la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie potrebbe validamente manifestarsi attraverso un semplice e doppio point&click).

I dubbi in dottrina si giustificano, come al solito, con la mancanza di chiarezza sul versante legislativo nazionale e comunitario, dove – come vedremo- invece di guardare con attenzione cosa succede nella prassi dell’e-commerce internazionale e, quindi, regolamentare giuridicamente l’esistente, si cerca di imporre strumenti (come la firma “digitale”) pensati per la Pubblica Amministrazione e poco adatti alle esigenze di autoregolamentazione dei mercati internazionali.

Proviamo ancora una volta, quindi, a trattare della validità ed efficacia del documento informatico e della firma elettronica, perché recentemente il Tribunale di Cuneo ha emesso (in data 15.12.2003) un decreto ingiuntivo (n. 848/03) condannando una società XX al pagamento di un credito vantato da altra società YY e fatto valere in giudizio sulla base del contenuto di alcune e-mail intercorse in precedenza tra le parti stesse (notizia apparsa sul sito giuridico STUDIUM FORI all’indirizzo http://www.studiumfori.it/visallex.php?id=1474).

Il provvedimento in parola è di particolare interesse rappresentando una delle prime pronunce di un Giudice italiano sul complesso ed articolato tema della validità e producibilità in giudizio dei documenti informatici. L’argomentare del Tribunale di Cuneo, che per taluni aspetti appare condivisibile, rappresenta di certo uno stimolo per ulteriori riflessioni e studi da parte di quanti hanno a cuore le conseguenze giuridiche connesse alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche nella contrattazione commerciale nazionale e soprattutto internazionale.

Il nocciolo della questione si traduce in questo: l’e-mail è un documento informatico sprovvisto di qualsivoglia firma elettronica e perciò equivalente ad una mera riproduzione meccanica (quale una semplice fotocopia), ovvero è un documento informatico provvisto di firma elettronica almeno “leggera” soddisfacendo, così, il requisito della “forma scritta”?

Il controverso e dibattuto quadro normativo nazionale di riferimento è rappresentato dal Testo Unico (D.P.R.) 445/2000 (così come modificato dal D.Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10, dalla legge 16 gennaio 2003, n. 3 e dal D.P.R. 7 aprile 2003, n.137) a tenore del quale, tra l’altro, la firma elettronica è “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica” (art. 1, comma primo, lett.c). In parole più semplici, si ha un documento informatico provvisto di firma elettronica leggera nel momento in cui dati elettronici connessi tra loro rendano in qualche modo “riconoscibili” le parti; riconoscibilità che può realizzarsi, quindi, attraverso i cd. metodi di autenticazione informatica – trattasi cioè dell’ insieme degli strumenti elettronici e delle procedure per la verifica indiretta dell’identità , secondo la definizione fornita dal D.Lgs. 196/2003 all’art. 4 comma 3 lett. c) – quali ad esempio, l’uso di password o di codici di identificazione personale.

Secondo le argomentazioni poste a sostegno del ricorso presentato dall’avv. Marco Cuniberti, e quindi confermate dal Tribunale di Cuneo, non si dovrebbero nutrire dubbi nel considerare una e-mail alla stregua di un documento informatico provvisto di firma elettronica leggera dal momento che quella connessione biunivoca richiesta dalla legge, e a cui abbiamo innanzi accennato, ben si realizza con l’invio di una missiva di tal genere. Infatti, “per poter accedere ad un dato indirizzo (come quello utilizzato dalla debitrice) per inviare o controllare se si sono ricevute email, occorre conoscere ed inserire i suddetti dati identificativi (oppure utilizzare programmi – quale ad esempio Microsoft OUTLOOK EXPRESS – che inseriscono automaticamente tali dati ogni volta che ci si connette alla rete internet), procedendo quindi alla necessaria procedura di validazione”; e ciò sembrerebbe, alla luce della normativa (e in attesa di ulteriori e reclamate modifiche) sufficiente a soddisfare la sottoscrizione con firma elettronica leggera e, quindi, il requisito della forma scritta.

Sarà poi compito del giudice valutare il valore probatorio di tale documento in giudizio e verificarne, quindi, la genuinità e riconducibilità effettiva del suo contenuto al titolare dell’indirizzo mail utilizzato. E, infatti, la normativa in oggetto attribuisce la validità di forma scritta al documento provvisto di semplice firma elettronica ( leggera ) e non al solo documento provvisto di firma elettronica avanzata (e, cioè, quel documento provvisto di firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisca la connessione univoca al firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente modificati ).


Nel caso di specie il Giudice di Cuneo sulla base del contenuto di alcune e-mail (ed, in verità, anche sulla base di ulteriore documentazione a sostegno della posizione della società ricorrente) ha emesso il provvedimento in parola.

Facciamo largo, quindi, ai messaggi di posta elettronica nei giudizi? Probabilmente sì e non ci resta che aspettare ulteriori pronunce giurisdizionali.
Fin da ora, comunque, possiamo dire che il notevole successo della posta elettronica, anche nel mondo degli affari, ha determinato un fenomeno di massa che non può né deve rimanere privo di una regolamentazione di tipo legislativo.

Bene ha fatto dunque il Giudice di Cuneo ad accettarne la sua produzione in giudizio (d’altronde sin dalla lontana Bassanini bis – art. 15 secondo comma L. n. 59/97 – gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonchè la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge ) e, forse, anche a considerare l’e-mail alla stregua di un documento provvisto di firma elettronica leggera e, quindi, ad attribuirle implicitamente il requisito legale della forma scritta ; la sua pronuncia certamente contribuisce a rendere il mondo della rete più “reale”. Così, se nel commercio elettronico (anche e soprattutto internazionale) abbiamo oramai abbandonato penne e francobolli per usare un pc connesso in rete, non dobbiamo dimenticare che tutto ciò che si poteva o non si poteva scrivere con la semplice penna lo si può o non lo si può scrivere con una semplice e-mail.

Tali argomentazioni andrebbero a confermare quanto detto in un precedente articolo apparso su Punto informatico e riferito proprio alla sottoscrizione point&click per il trattamento elettronico di dati personali in aree riservate e protette del sito web e previa autenticazione informatico con ID e PW (Legittima la registrazione alla Personal Zone?” all’indirizzo # ).

Da ciò consegue una considerazione più generale. Osservando l’evolversi della globalizzazione dei mercati, dell’allargamento delle frontiere e dell’intrecciarsi degli scambi commerciali internazionali (fenomeni addebitabili non certo alla sola evoluzione di Internet, ma precedenti alla stessa nascita della Rete) non si può non evidenziare come la legislazione sulla firma “digitale” appaia un po’ in controtendenza rispetto alle politiche legislative sopranazionali, almeno per quanto concerne l’angolo di osservazione del giurista attento alle tematiche del diritto commerciale internazionale.

Nel Commercio Internazionale il legislatore sopranazionale è da sempre intervenuto per regolamentare delle prassi già consolidate, anche servendosi del potere “codificatore” di altre organizzazioni internazionali, quali la ICC ( International Chamber of Commerce ). Tale fenomeno lo si osserva, per fare soltanto qualche esempio, con gli Incoterms , con i crediti documentari , con le lettere d’intenti , con i contratti-standard internazionali e negli stessi arbitrati internazionali , ma anche in Convenzioni Internazionali di largo respiro (quali la Convenzione di Vienna del 1980) o negli stessi Principi Unidroit.

Con l’avvento di Internet e del commercio elettronico (intrinsecamente internazionale), invece, la corsa forsennata verso una stretta regolamentazione di ogni singola realtà tecnologica lascia a volte senza parole, anzi per meglio dire senza fiato (considerando gli sforzi necessari a noi giuristi per star dietro a questa copiosa, complessa, contraddittoria evoluzione legislativa).

Il legislatore ha voluto imporre alla prassi l’utilizzo di alcuni particolari strumenti “inventati” ad hoc (quali la ” vecchia firma digitale”), ovviamente senza riuscirci (almeno sino ad oggi).

Effettivamente le esigenze nuove di sicurezza e di imputabilità giuridica dello scambio telematico internazionale necessitano di particolare attenzione, ma almeno negli “affari tra privati” non sarebbe più giusto (come è già stato in passato) affidarsi al potere di una necessaria autoregolamentazione? Non sarebbe più normale guardare quel che succede negli affari telematici e cercare di intervenire con delle piccole correzioni giuridiche su quelle prassi piuttosto che mirare ad imporre nuovi strumenti mai utilizzati nell’e-commerce?

A mio avviso ciò che ha un senso nei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni e tra Pubbliche Amministrazioni e privati non necessariamente deve avere un senso nei rapporti “più liberi” tra privati? e per tali motivi questo decreto ingiuntivo dovrebbe forse far aprire un po’ gli occhi a chi continua a desiderare stringenti regolamentazioni tecniche anche in aree di scambio da sempre affidate alla libera creatività dei loro protagonisti.

Andrea Lisi
Direttore Scientifico del Corso di Alta Formazione post-graduate in
DIRITTO&ECONOMIA DEL COMMERCIO ELETTRONICO INTERNAZIONALE
Curatore del Portale per l’ICT & INTERNAZIONALE TRADE

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Pubblicato il
26 gen 2004
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