India, quando la rete diffama

India, quando la rete diffama

La responsabilità di commenti anonimi ricade su chi tira le fila del gruppo di discussione. Deve assumersi l'onere di temperare le frange più estreme della libertà di espressione
La responsabilità di commenti anonimi ricade su chi tira le fila del gruppo di discussione. Deve assumersi l'onere di temperare le frange più estreme della libertà di espressione

Non è possibile scaricare su commentatori anonimi il peso di certe sortite se si gestisce un forum, un blog o un gruppo di discussione: la Corte Suprema dell’India, chiamata a valutare un caso di diffamazione, ha stabilito che la responsabilità di affermazioni o commenti diffamatori siano da attribuire a chi garantisce agli anonimi di esprimersi.

Ajith D, così i media locali identificano il 19enne studente di informatica protagonista della vicenda, aveva aperto uno spazio di discussione su Orkut. Il dibattito era incentrato sulle prese di posizione del partito di estrema destra Shiv Sena: alle opinioni espresse in maniera pacata, si affiancavano le furenti fiammate di netizen anonimi, che paventavano l’intenzione del partito di spaccare il paese sulla base del regime delle caste. I rappresentanti del partito non si erano dimostrati disposti a tollerare il disseminarsi di affermazioni false, tendenziose e offensive: non si erano rivolti a Google per chiedere la rimozione delle affermazioni diffamanti ma avevano sporto denuncia nei confronti di Ajith D.

In un primo grado di giudizio il giovane era stato ritenuto colpevole : per difendere la propria posizione e con essa il diritto dei cittadini della rete ad esprimersi ha chiesto di confrontarsi con la Corte Suprema. Che ha rifiutato di chiudere il caso con un’assoluzione.

Le argomentazioni del legale di Ajith D si intessevano attorno al regolamento della community, secondo cui il responsabile dello spazio non si assume la responsabilità delle esternazioni postate dagli altri utenti . Il giovane si sarebbe limitato a garantire ai cittadini della rete la possibilità di confrontarsi e di dibattere. Le opinioni postate dai partecipanti, ha tentato di sostenere il giovane, sono manifestazioni della libertà di espressione veicolate dalla rete. La difesa ha inoltre tentato di dimostrare che la manifestazione di un pensiero all’interno di una community non possa essere considerata diffamatoria in quanto limitata ai confini delle persone che partecipano al gruppo.

La Corte Suprema ha sbaragliato le rivendicazioni di Ajith D, ha rimbrottato il giovane, ha scatenato il dibattito fra i cittadini della rete indiana. “Sei uno studente di informatica – così il giudice si è rivolto al 19enne – e sai bene quante persone accedono ai portali su Internet”. Il giudice ha stabilito che le comunità online non si possano considerare degli spazi privati, ha invitato Ajith D ad assumersi la responsabilità di aver lasciato che proliferassero commenti anonimi e aggressivi: “se qualcuno ti denuncia sulla base di questi contenuti, tu devi affrontare il caso. Devi presentarsi di fronte alla corte e spiegare le ragioni della tua condotta”.

Fra i netizen indiani ferve il confronto. C’è chi sottolinea che la responsabilità debba necessariamente ricadere sull’individuo e non sugli intermediari che a vario titolo hanno dato spazio alle sortite più attaccabili. C’è chi invita a moderare i toni e a mostrare maturità, manifestando la propria opinione in maniera ponderata e costruttiva. C’è chi teme che la temperanza possa sfociare nell’autocensura.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
26 feb 2009
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