Roma – “Salve, ho ricevuto oggi una visita, devo dire peraltro molto cordiale, della polizia delle comunicazioni (ex polizia postale) la quale, in base alla delibera n. 467/00/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (della quale mi hanno gentilmente dato copia) mi ha chiesto:
1) se la biblioteca possiede l’autorizzazione del Ministero delle poste e telecomunicazioni per la fornitura del servizio internet al pubblico (equiparandoci ad un internet café);
2) se possediamo il registro degli utenti che utilizzano internet (ora di inizio consultazione – ora di fine consultazione – documento di identità). Tale registro è, a loro dire, obbligatorio ai fini della rintracciabilità degli utenti.
Dai chiarimenti avuti ho potuto capire che tale registro è obbligatorio se gli utenti utilizzano la posta elettronica. Ora, nella mia biblioteca il client di posta non è configurato, ma la polizia postale ritiene l’accesso a internet equivalente in quanto permettiamo l’utilizzo della web-mail (tipo hotmail);
3) se possediamo (noi o il provider) un registro di log degli accessi;
4) se possediamo il progetto dell’impianto dati e la dichiarazione di conformità rilasciata dalla ditta installatrice, la quale deve possedere un’abilitazione almeno di 2° livello (a quanto ho capito gli installatori di reti hanno 3 livelli di abilitazione);
5) se permettiamo downloading di file;
6) se abbiamo installato filtri anti pedofilia e pornografia;
Ora, la mia biblioteca, che possiede 6 postazioni internet al pubblico, è stata aperta nel dicembre 2001 per cui possediamo la certificazione e il progetto di cui al punto 4.”
Così suona la prima parte di un intervento apparso in questi giorni nella mailing list dei bibliotecari AIB-CUR e della quale in quella sede si sta discutendo, per cercare di capire come sono inquadrate nell’ordinamento italiano le biblioteche che offrono accesso ad internet ai propri frequentatori.
La lettera si chiude con la specificazione: “La polizia postale mi ha dato 20 giorni (mi ha fatto un verbale) per presentare tutta la documentazione, compresa l’autorizzazione del Ministero (a loro basta la richiesta di autorizzazione). In caso contrario le multe sono di svariate migliaia di euro per ogni infrazione”.
Sebbene sul sito dell’Autorità TLC si trovino numerosi riferimenti normativi, qualcuno fa notare come siano numerosi gli internet point italiani, anche al di fuori delle biblioteche, a non prendere nota in alcun modo dell’identità dei fruitori dei servizi né a registrare le loro attività in rete. Una situazione che, evidentemente, necessita di un chiarimento anche sul fronte della tutela della riservatezza di chi fruisce di tali servizi.