La tecnofobia delle frontiere USA

La tecnofobia delle frontiere USA

Cambiano le regole ma rimane il diritto, per gli ufficiali di frontiera, di ispezionare i dispositivi digitali dei viaggiatori senza mandato. Insorgono le associazioni in difesa della privacy
Cambiano le regole ma rimane il diritto, per gli ufficiali di frontiera, di ispezionare i dispositivi digitali dei viaggiatori senza mandato. Insorgono le associazioni in difesa della privacy

Per chi entra o esce dal paese, le frontiere USA continuano a rappresentare una sorta di gogna elettronica senza scampo: qualunque aggeggio informatico-digitale che si trovi a passare i controlli deve fare i conti con un esame approfondito a completa discrezione dei controllori. Che dall’amministrazione Obama ricevono nuove regole ma rimangono il bersaglio delle accuse di incostituzionalità sostenute dalle associazioni per i diritti civili.

Le nuove regolamentazioni emanate dal Department of Homeland Security , riguardanti in particolare le modalità operative degli ufficiali dell’agenzia Customs and Border Protection (CBP), servirebbero a placare le perduranti polemiche sui controlli indiscriminati alle frontiere (condotti senza alcuna necessità di indagine o giusta causa come nel caso di criminali e/o sospetti terroristi), polemiche che in passato hanno già portato alla denuncia di incostituzionalità e alla formulazioni di proposte di legge tese ad abolire la pratica.

Il DHS difende le nuove regole perché sarebbero in grado di ripristinare “il bilancio tra il rispetto delle libertà civili e la privacy di tutti i viaggiatori assicurando nel contempo al DHS la possibilità di condurre le azioni legali necessarie a rendere sicuri i nostri confini”, ha dichiarato il segretario dell’organizzazione Janet Napoletano.

In virtù della nuova normativa , gli ufficiali del CBP sono obbligati a eseguire i controlli (inclusivi di eventuali clonazioni del contenuto di hard disk e unità di memoria di dispositivi digitali per revisioni successive) solo in presenza di un supervisore, devono distruggere i dati non riguardanti casi criminali entro sette giorni e non possono detenere la proprietà altrui per più di 30 giorni.

A rimanere identico è però il principio cardine della “tecnofobia” delle frontiere statunitensi, vale a dire il perdurante “diritto” del CBP e degli altri corpi impegnati nei controlli di ficcare il naso negli affari di tutti i passeggeri e i viaggiatori , senza la necessità di chiedere specifica autorizzazione al potere giudiziario o alle agenzie per la sicurezza nazionale.

“Viaggiare con un laptop non dovrebbe implicare che il governo acquisisca il diritto di ficcanasare nelle tue carte personali” ha commentato Catherine Crump del gruppo American Civil Liberties Union , che indipendentemente dalle nuove regole considera i controlli indiscriminati e i sequestri immotivati come pratiche incostituzionali pure e semplici.

Non è un caso che ACLU, appena un giorno prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, abbia deciso di denunciare in tribunale il comportamento del CBP per ottenere informazioni circostanziate sui controlli e stabilire non tanto “se”, quanto piuttosto “fino a che punto” essi contrastino con la Costituzione statunitense e il Quarto Emendamento . Quest’ultimo è stato esplicitamente pensato per difendere i cittadini da questo genere di abusi.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
31 ago 2009
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