Mistero sul camcorder norvegese

Mistero sul camcorder norvegese

Uno studio legale prova a farsi consegnare i dati personali di chi avrebbe immesso in rete una registrazione non autorizzata di un film di grande successo. Ma l'ISP resiste e non identifica l'indirizzo IP
Uno studio legale prova a farsi consegnare i dati personali di chi avrebbe immesso in rete una registrazione non autorizzata di un film di grande successo. Ma l'ISP resiste e non identifica l'indirizzo IP

Altrove il camcording finisce per procurare la galera agli sconsiderati protagonisti armati di telecamera, ma in Norvegia un caso di registrazione illecita si tinge di giallo per la segretezza voluta dai legali dell’accusa. Il caso è finito in appello davanti alla Corte Suprema del paese, ma al momento non si conosce chi tra le parti in causa (produttore del film e ISP a cui si riferisce l’IP) l’ha avuta vinta in primo grado.

Il film in oggetto è Max Manus , costato 55 milioni di corone norvegesi (il costo più alto della cinematografia di produzione locale) e uscito il 19 dicembre del 2008. Il film è stato un grandissimo successo guadagnando quasi quattro volte il budget investito, piazzando 1,6 milioni di biglietti ai botteghini e 400mila DVD e questo nonostante sia comparsa online (pochi giorni dopo l’uscita nei cinema) una versione del film catturata con la videocamera in sala.

In risposta alla proliferazione online della copia illegale, il produttore John M. Jacobsen ha definito il fatto “assolutamente riprovevole” e ha dato mandato al noto studio legale Simonsen affinché investigasse nel traffico del file sharing e individuasse il responsabile o i responsabili iniziali. La copia era stata registrata in una sala vuota, ragion per cui gli investigatori ipotizzano ci sia quantomeno la corresponsabilità di un proiezionista.

I mastini sguinzagliati da Simonsen riescono a rintracciare le varie copie presenti online, risalendo sino all’indirizzo IP da cui era presumibilmente partita la distribuzione iniziale. A quel punto i legali hanno chiesto all’ISP di rivelare i dettagli personali nascosti dietro quell’IP, il provider si è rifiutato e il caso è finito davanti al giudice.

Il primo verdetto è stato emesso il 5 maggio del 2009, ma l’esito è stato coperto dal segreto dietro richiesta di Simonsen per il presunto pericolo di inquinamento delle prove. Il pubblico non ha gradito chiedendo trasparenza , tanto più importante in un caso in cui si decide sulla legittimità delle pretese dei produttori di contenuti nei confronti dei provider e relativi utenti senza l’autorizzazione di un giudice .

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
10 feb 2010
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