Roma – La risposta tecnologica dell’industria discografica a mp3, a Napster e a software simili ha finalmente un nome: watermarks.
I watermarks sono piccoli pezzi di software inudibili ma incorporati nei file musicali che consentiranno secondo il consorzio SDMI (Secure Digital Music Initiative), la distribuzione di files musicali “sicuri” e non duplicabili se non per utilizzo personale. Si tratta di una piattaforma aperta in elaborazione da quasi due anni alla cui realizzazione collaborano ormai almeno 200 compagnie interessate a questa nuova tecnologia; dai discografici ai fornitori di contenuti per Internet, alle ubiquitarie compagnie di telefonia mobile.
La scommessa è che tutta la “nuova musica” in distibuzione prossimamente contenga un codice trigger, i watermarks appunto, che sovraintenda alla diffusione o meno del file musicale. Secondo Talal Shamoon, che dei watermarks è uno dei padri, attraverso essi sarà possibile duplicare il file musicale regolarmente acquistato per il proprio device portatile ma non doppiarlo per altri né tantomeno “ripparlo” in un mp3 e condividerlo via Internet.
Certo i discografici avrebbero desiderato qualcosa d’altro, magari un sistema che funzionasse anche sui milioni di files mp3 pirata che circolano quotidianamente in rete o che consentisse di marcare anche la grande quantità di materiale musicale già disponibile. Invece, come è ovvio, la nuova tecnologia potrà essere applicata solo sul materiale di prossima distribuzione sia a quello venduto attraverso la normale distribuzione che ai files scaricati da Internet (per esempio attraverso compagnie legali simil-napster) e perfino al materiale audio diffuso attraverso rete mobile su cellulari e palmari.
E tuttavia nelle ultime settimane qualcosa deve aver scalfito le granitiche certezze della SDMI sulla usabilità del proprio sistema di protezione se è vero che Leonardo Chariglione, direttore esecutivo del consorzio, ha in questi giorni pubblicizzato una iniziativa che in poche ore ha fatto il giro del mondo. Una lettera aperta e un sito web nei quali si invita la comunità hacker a tentare di craccare i watermarks.
Da oggi, 15 settembre, al 7 ottobre chiunque vorrà potra cimentarsi nel tentativo di rimuovere i watermarks dai file musicali preparati da SDMI. Chiunque dovesse riuscirci riceverà un premio di 10.000 dollari (pochini in effetti) e, in applicazione ad un luogo comune vecchio come Internet, otterrà un posto nel gruppo di lavoro sulla “nuova musica”.
“Ecco la tua occasione per far parte del futuro della musica digitale” leggiamo sul sito di hacksdmi.org insieme ad altre affermazioni tipo “Craccalo” o “Dai l’assalto a questa tecnologia”. Sembra strano che alla SDMI non si rendano conto che i veri “pirati” difficilmente parteciperanno a simili iniziative preservando l’eventuale cracking dei watermarks (sul quale a tutt’oggi scommetterei tranquillamente) al momento in cui essi saranno effettivamente in uso. E comunque un paio di settimane sono davvero poche per invalidare il lavoro di due anni di un team molto ampio di stimati programmatori.
Forse a Leonardo Chiariglione che curiosamente viene ricordato come il padre dello standard mp3, qualche dubbio sulla efficacia del proprio algoritmo deve essere venuto, se ha deciso di intrapprendere una iniziativa del genere che di primo acchito sembra molto in sintonia con l’etica hacker ma che con essa nulla ha a che fare. Se non altro per il calibro dei partecipanti al consorzio SDMI e gli scopi del progetto.
O forse Chiariglione ricorda come un cupo presagio quello che è accaduto non più tardi di un anno fa all’annunciatissimo standard musicale sicuro di Microsoft, il Windows Media Audio 4 che, giusto il giorno successivo alla sua diffusione ufficiale tanto sicuro non era già più e che per tale ragione è stato ampiamente ridimensionato. Accadrà lo stesso ai watermarks?