MPAA: e perché dovremmo avere prove per denunciare?

MPAA: e perché dovremmo avere prove per denunciare?

Gli studios hollywoodiani corrono in soccorso di RIAA e dicono al giudice che il P2P è così pericoloso che non ci si può affidare ai sofismi, come quello secondo cui servono prove per denunciare qualcuno. I Kiss: basta pirati
Gli studios hollywoodiani corrono in soccorso di RIAA e dicono al giudice che il P2P è così pericoloso che non ci si può affidare ai sofismi, come quello secondo cui servono prove per denunciare qualcuno. I Kiss: basta pirati

Dopo la cavalleria per Jammie Thomas, “arrivano i nostri” anche in difesa della “povera” industria del disco: in una memoria consegnata alla corte in veste di supporter delle ragioni di RIAA, la rappresentanza di Hollywood MPAA scrive chiaro e tondo al giudice che no, non è importante la prova del fatto che una infrazione concreta del diritto d’autore ci sia stata . A detta degli studios basta individuare una cartella condivisa sul P2P con dentro i file che si ritiene siano abusivi perché i produttori possano colpire i “pirati”.

“È spesso molto difficile, e in alcuni casi impossibile, fornire una prova così diretta quando ci si confronta con le moderne forme di infrazione del copyright”, scrive l’avvocato di MPAA Marie L. van Uitert al giudice federale responsabile del caso Thomas. Una infrazione che, sia sul P2P che altrove, favorisce chi scambia i file incriminati e ha poi gioco facile a “nascondere le tracce dell’infrazione”.

“Infrazione” che, nel quadro a tinte fosche dipinto dai mega-manager dell’industria e relativa rappresentanza legale, è l’unica motivazione dietro l’attuale crisi del tradizionale mercato dei supporti , un fenomeno talmente diffuso da giustificare la “tosatura” di 150mila dollari, almeno, per ogni singola violazione di copyright. E senza la necessità di avere uno straccio di prova a supporto.

Il caso Jammie Thomas si rivela ancora una volta come uno dei punti focali della guerra senza quartiere sul copyright , che vede contrapposti un’industria costantemente sulle barricate e desiderosa di recuperare il controllo perduto sui media, la distribuzione e i contenuti, e gli utenti, i quali chiedono a gran voce nuovi meccanismi di finanziamento della produzione artistica e culturale svincolati dalle attuali regole delle norme sul diritto d’autore.

Un caso importante in cui, oltre ai 10 professori universitari intervenuti in supporto della necessità, sancita a loro dire dalla legge americana, di provare che un’infrazione ci sia effettivamente stata, e all’industria ben convinta al contrario che la semplice teoria della “messa in condivisione” (o “making available” in inglese) basti a una condanna senza possibilità di appello, sono intervenute importanti organizzazioni pro-diritti civili, e non solo in difesa di Jammie Thomas.

Electronic Frontier Foundation , Public Knowledge , United States Internet Industry Association e Computer and Communications Industry Association hanno manifestato al giudice Michael Davis la loro convinzione che la legge americana non sancisce alcun obbligo di risarcimento per i “presunti” reati , come al contrario vorrebbe capziosamente e retoricamente far credere l’industria delle major.

“Considerando le serie conseguenze che derivano dallo stretto regime di responsabilità giuridica derivato dalle norme sul copyright – scrivono le organizzazioni nel loro rapporto – la corte dovrebbe resistere alle pretese del querelante di espandere quel regime, stante l’assenza di un’espressione inequivocabile negli intenti del Congresso”.

la celebre band E mentre la battaglia infuria in tribunale, gli artisti continuano a schierarsi pro o contro le tecnologie di condivisione : gruppi storici come i Kiss, forse alla ricerca di uno smalto che non torna più, si dicono in attesa che la “defunta” industria del disco e gli “incivili” pirati di Internet si diano una calmata prima di rilasciare qualsiasi nuovo lavoro. Cosicché qualcuno maligna che ai Kiss non interessi granché l’espressione artistica quanto piuttosto il fare cassa con gli utenti di cui sopra, quelli da tosare.

C’è al contrario chi come Kid Rock se la prende con le etichette, abituate in passato a “rubare dagli artisti” e ora scure in volto per aver ricevuto lo stesso trattamento da parte dei consumatori , non più disposti a farsi trattare come gregge al pascolo di un mercato del disco sotto monopolio delle Big Four .

Kid Rock boicotta iTunes, perché – dice – Apple non fa altro che perpetrare la posizione di privilegio delle major senza far ottenere un centesimo in più agli artisti, e invita gli utenti condivisori a “rubare tutto” sul P2P, dalla sua musica a quella di chiunque altro, perché lui i soldi se li guadagna – come tanti altri – suonando dal vivo e non finendo impacchettato nei CD venduti dalle etichette.

Alfonso Maruccia

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
23 giu 2008
Link copiato negli appunti