Web (internet) – Internet offre molti modi per diffondere la musica e tutti sono sfruttati ampiamente da “piratoni professionisti” che della copiatura illegale fanno un business e da un numero enorme di utenti, attratti semplicemente dalla possibilità di ascoltare gratuitamente quello che vogliono.
Comunque la si metta, è uno scenario che fa rabbrividire le ricchissime multinazionali dell’industria che si sentono ferite e attribuiscono alla pirateria in rete cali di vendite registrati in questi mesi su diverse piazze. E ora, pare che l’internazionale dei discografici, la IFPI , abbia deciso di fare la voce grossa.
Secondo il boss dell’organismo sovranazionale, Jay Berman, intervistato dalla Reuters, la pirateria costerebbe 4,5 miliardi di dollari all’industria che nel mondo ne fattura 38 di miliardi: “per gli artisti, internet rappresenta una enorme opportunità per raggiungere una audience dedicata. Allo stesso tempo gli artisti vogliono essere pagati per il proprio lavoro. Ed è venuto il tempo di affrontare la cosa”.
“In qualsiasi istante, ha proseguito Berman, si può dire senza timore di sbagliare che ci sono un milione di brani musicali non autorizzati disponibili in rete. Nel cyberspazio, non abbiamo idea di quanta gente sta accedendo a questa musica. Le dimensioni del problema sono superlative”.
La IFPI, che ha ottenuto il supporto diretto di numerosi industriali di settore, da Jean-Micheal Jarre alle Spice Girls, sostiene che ai proventi miliardari attribuiti alle case discografiche non viene mai paragonato il rischio: “si tratta di un business ad alto rischio. Le case discografiche lanciano dieci album e solo uno ha successo. In realtà è quell’uno a sostenere tutto il resto. Se si diminuisce il suo impatto, i fondi per tutti ne risentono”.
Berman è l’animatore di una campagna internazionale che preme sui governi per il varo di leggi a protezione del copyright più efficienti di quelle attuali, ma il problema rimane naturalmente quello di un accordo sovranazionale: “Un sito può essere mantenuto in qualsiasi paese. Il fatto che sia accessibile da tutto il mondo è un pericolo. Mano a mano che i paesi aggiornano le proprie leggi, ci saranno fornitori di servizi internet che si sposteranno nei paesi più indietro”.