Netstrike, l'errore dietro l'angolo

Netstrike, l'errore dietro l'angolo

di Massimo Mantellini. Si ha come la sensazione che lasciato nelle mani di pochi, il corteo telematico di protesta diventi un'arma spuntata e svuotata anche dei pochi significati simbolici che porta con sé
di Massimo Mantellini. Si ha come la sensazione che lasciato nelle mani di pochi, il corteo telematico di protesta diventi un'arma spuntata e svuotata anche dei pochi significati simbolici che porta con sé


Roma – Qualche giorno fa è andato in onda l’ennesimo netstrike italiano. Le mobilitazioni telematiche di protesta stanno ormai assumendo frequenze settimanali tanto da richiedere la messa in opera di un sito web di rappresentanza raggiungibile all’indirizzo www.netstrike.it.

Di queste manifestazioni, organizzate in genere nell’ambito dell’azione “culturale” dei Centri Sociali e della cosidetta corrente antagonista che fa capo ad alcune liste di discussione ed ha la sua anima nel sito web Isole nella Rete , Punto Informatico ha sempre dato conto con puntualità.

A differenza delle azioni di protesta precedenti, l’ultima in ordine di tempo, quella contro il sito web di Trading online di Fineco ha però ottenuto larga eco da parte dei media. Solo ieri la Reuters (con una versione piuttosto fantasiosa dei fatti) si è per esempio occupata del Netstrike italico contro il trading online dopo che la notizia era stata ampiamente riportata da giornali e TV nazionali.

La mia personalissima idea sul valore di certe iniziative è ininfluente, tuttavia oggi mi pare il caso di sottolineare un paio di aspetti generali della questione.

Il primo è che lo strumento della protesta telematica oggi in Italia è fortemente orientato e ciò non consente di valorizzarlo appieno. Che si “combatta” per Silvia Baraldini o per i guerriglieri del Chiapas, per la libera circolazione dei saperi o per abbattere il sito di ecommerce della COOP, la marginalità di chi partecipa a tali iniziative è molto evidente. Qualche centinaio di persone (nella migliore delle ipotesi) che abbattono siti web che nessuno visita per poi ritrovarsi su IRC o sulle liste di discussione ad esultare per il successo tecnico dell’iniziativa.

Certo il diritto a organizzare iniziative del genere rimane intatto per chiunque (anche se a differenza di quanto è possibile leggere su netstrike.it non sembra pacifico che tali iniziative siano completamente legali) e in molti casi condivisibile: eppure si ha come la sensazione che lasciato nelle mani di pochi, il corteo telematico di protesta diventi un’arma spuntata e svuotata anche dei pochi significati simbolici che porta con sé. Viene in mente la fine fatta in Italia dall’istituto referendario dopo il diluvio di iniziative del movimento radicale.

Ma oggi l’attacco contro Fineco (preso ad esempio di una pratica, il trading online, per qualche ragione considerata deleteria) avvenuto in occasione del Global Forum di Napoli si carica di ulteriori significati e forse per tale ragione si innalza a notizia degna di pubblicazione sui grandi media.

Da un anno a questa parte non esiste metafora più trita di quella del “popolo di Seattle”; per ragioni che valicano la ragionevolezza, ogni riunione internazionale nella quale si discuta di economia, sicurezza, rapporti sociali etc. è buona per lo scatenamento del movimento antiglobalizzazione con il suo contorno – marginale ma di grande impatto mediatico – di scontri di piazza, teppismi e piccole violenze di manifestanti ed agenti in tenuta antiguerriglia.

E non meraviglia, nella pochezza informativa che riunisce da una parte “i contestatori a priori” e dall’altra “gli avvelenatori del mondo” che spesso chi ne esca sconfitta sia proprio l’informazione stessa come scrive in un bell’articolo recente Bruno Giussani a proposito della recente riunione di Davos quando, meravigliandosi per il rilievo solito dato dai media alle manifestazioni di piazza, ricorda che quasi nessuno su giornali e TV si è dato la pena di ricordare che: “….quasi la metà delle oltre trecento sessioni erano dedicate a temi come la protezione dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, la responsabilità sociale delle aziende, le nuove forme di filantropia, le disparità tecnologiche (il cosiddetto “digital divide”), lo sviluppo dei paesi africani, la pace, i diritti dell’uomo, l’educazione, la cancellazione del debito dei paesi in via di sviluppo, la protezione delle risorse idriche, la ricerca di energie alternative…”

Insomma l’essenza dei fatti sembra ogni giorno meno importante superata dall’estetica degli avvenimenti. Lo stesso sembra avvenire oggi in Italia con iniziative di protesta telematica come i ripetuti netstrike del movimento antagonista. Il “colpirne uno per educarne cento” contro Fineco, per amore di cronaca, è stato un mezzo fallimento, eppure il rilievo che i media hanno ritenuto di dare all’avvenimento (ed anche in parte il fatto che quello a Fineco è il primo vero attacco a un servizio a pagamento e non ad una semplice vetrina web) è un ottimo esempio di come tutto oggi sia più complesso di come appare. Di come le battaglie sociali di una esigua minoranza possano per una volta diventare notizia da rotocalco. Di come l’essere “contro” talvolta possa sbarcare su programmi tv da prima serata, nella crudele incertezza di chi non sa bene se le antenne del potere (quelle televisive ma anche quelle di Internet) da cui sta parlando siano da sfruttare o da abbattere.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
17 mar 2001
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