Open source, nuova risposta sul caso MS

Open source, nuova risposta sul caso MS

Ad analizzare punto su punto la memoria consegnata da Microsoft al Senato è il GNUG (Gnug's not a User Group). L'obiettivo è smontare le tesi proprietarie
Ad analizzare punto su punto la memoria consegnata da Microsoft al Senato è il GNUG (Gnug's not a User Group). L'obiettivo è smontare le tesi proprietarie


Roma – Pubblichiamo di seguito la risposta che il GNUG (Gnug’s not a User Group) ha preparato dopo la consegna della memoria Microsoft al Senato italiano sull’open source. Una memoria che ha scaldato gli animi nel mondo del free software e che ha già visto rispondere alcuni protagonisti del settore, tra cui l’azienda SuSE Linux

Riportiamo qui di seguito la risposta integrale preparata dal GNUG.

“Il Gnug risponde al documento presentato dalla Microsoft ad una audizione al Senato della Repubblica della Commissione sulla Pubblica Istruzione nell’ambito della discussione sul decreto legge Moratti

redatto da: Alessio Cecchin, Oscar Lazzarino, Andrea Negro, Erich Roncarolo, Silvano Sartore e Natale Titotto.

Questo documento costituisce una risposta del mondo Open Source italiano, nella fattispecie del GNUG di Torino, alla lettera al Senato in cui Microsoft S.p.a. scoraggia l’adozione del Software Libero nella Pubblica Amministrazione. Abbiamo cercato, per quanto ci è stato possibile, di mantenere una certa obiettività in modo da offrire, per una volta, un punto di vista non condizionato dagli interessi privati e neppure da ideologie o crociate personali, suffragando le nostre argomentazioni con documentazione ed esempi facilmente verificabili. Riportiamo, punto per punto, la lettera originale tralasciando la premessa iniziale e soprattutto l’offerta commerciale allegata al fondo la cui presenza, all’interno di un documento di questo tipo, ci sembra, tra l’altro, fuori luogo.

L’innovazione del software è una forza motrice per il progresso economico, sociale e tecnologico. Permettere la competizione, sulla base dei propri meriti, tra lo sviluppo di software molteplici, di business e modelli soggetti a licenza costituisce sicuramente il modo migliore per promuovere l’innovazione del software e per assicurare ai clienti – privati e pubblici – un’ampia scelta nelle decisioni di acquisto del software.

L’affermazione di Microsoft sulla presunta migliore trasparenza, innovazione e concorrenzialità di modelli basati sulle licenze non è affatto dimostrata.

Tale tesi risulta, oltre tutto, opinabile in quanto nel giro di meno di 10 anni il Free Software (FS) ha portato lo sviluppo in tutto il mondo di svariate centinaia di aziende, piccole e grandi. Molte di esse oggi non esistono più, proprio perché, come afferma MS, non sono state in grado di competere con le altre secondo le leggi del libero mercato; che tale concorrenza si concretizzasse in aziende tradizionali (produttrici di Software proprietario) o in aziende che adottano in tutto o in parte il modello Open Source (OS) è assolutamente ininfluente.

Analizzando questi risultati si potrebbe facilmente provare che un tale numero di aziende, piccole e grandi, non avrebbe mai potuto nascere e crescere se intruppato in un’unica realtà informatica egemonizzata dal monopolio MS.

Ultimamente sono emerse preoccupazioni sul fatto che in campo politico, attraverso indirizzi governativi di acquisto, finanziamenti alla ricerca o politiche standard, si possa cercare di favorire lo sviluppo di un modello di software piuttosto di un altro. Incoraggiamo il Parlamento ed i Governo a tener conto di quattro principi neutrali di cui si fa portavoce Microsoft insieme ad altre aziende e associazioni industriali che riconoscono nel software proprietario il motore dell’economia digitale futura.

Acquistare il software in base alla propria funzionalità e non a preferenze di categoria. Tutti i prodotti software presentano costi e benefici. Le entità pubbliche così come quelle private, dovrebbero acquistare il software che soddisfa le proprie necessità nel modo migliore evitando ogni preferenza categorica per il software open source, o proprietario, o per altri modelli di sviluppo del software. I governi sono serviti al meglio quando scelgono il software da usare tra una vasta gamma di prodotti in base a considerazioni circa il valore, il costo effettivo del prodotto (consulenza, assistenza, manualistica etc…), le caratteristiche, le prestazioni e la sicurezza. I governi dovrebbero far sì che il mercato continui ad incoraggiare l’innovazione nello sviluppo del software evitando di intervenire e indicando preferenze o requisiti di acquisto che potrebbero discriminare un modello in favore di un altro. La neutralità e la libera scelta dovrebbero essere i principi guida.

Il fatto che un appalto – pubblico o privato – vincoli le aziende che vi partecipino ad usare una categoria di prodotti anziché un’altra non può che essere giudicata vessatoria. Tuttavia esistono problematiche relative alla trasparenza ed alla verificabilità del software (presenza di codice indesiderato quale spyware, backdoors…) che soltanto il rilascio dei sorgenti, originali e completi, può risolvere con sufficiente efficacia.


In quest’ottica, quindi, è da appurare se la richiesta, in una gara di appalto, di acquisire i sorgenti dei Software installati sia discriminante nei confronti delle aziende partecipanti oppure garantisca una specifica caratteristica della fornitura. Le aziende che vi partecipano sarebbero quindi libere di allinearsi a tali specifiche o rinunciare alla gara. In caso contrario il rapporto non potrebbe comunque essere univoco, ma dovrebbe mettere sullo stesso piano i due modelli di sviluppo: proprietario e OS.

Non sarebbe invece accettabile una specifica che imponga l’uso di software proprietario: come si potrebbe giustificare la necessità che i sorgenti dei programmi acquisiti non vengano mai resi pubblici dall’azienda fornitrice?

Poniamo in evidenza, inoltre, che l’introduzione di Software OS nella Pubblica Amministrazione (PA) non significa che gli attuali prodotti vengano completamente abbandonati o che cessino completamente gli acquisti di applicativi proprietari.

Stiamo parlando di favorire l’introduzione di prodotti OS, non il loro uso esclusivo. In quest’ottica le preoccupazioni di MS risultano prive di fondamento alcuno.

Promuovere l’ampia disponibilità di ricerche finanziate dalle autorità. Per molti anni, le autorità hanno dato importanti contributi alla tecnologia finanziando la ricerca per il software di base. Quando i fondi pubblici vengono utilizzati a supporto della ricerca e sviluppo del software, le innovazioni che ne derivano dovrebbero essere concesse in licenza in modo da tener conto del desiderio sia di condividere ampiamente questi progressi sia di applicare tali progressi ai prodotti commerciali grazie alla protezione della proprietà intellettuale che ne deriva. La diffusione dei risultati in modo così ampio contribuisce al ciclo dell’innovazione nel quale il finanziamento pubblico per la ricerca di base incrementa il bagaglio di conoscenze a disposizione del pubblico e nel contempo stimola i miglioramenti nei prodotti commerciali. Questi prodotti creano in cambio posti di lavoro, profitti ed entrate fiscali necessari a finanziare ulteriori ricerche.

Questo ragionamento distorto e spesso contraddittorio favorisce un approccio sbagliato sia a ciò che deve rappresentare la ricerca pubblica e universitaria, sia al concetto di concorrenza auspicabile da un governo competente. Un tipo di concorrenza, cioè, che lascia spazio a tutte le parti in causa, con i loro pregi ed i loro difetti. La necessità di vigilare contro i monopoli di fatto si concretizza, anche in Italia, con gli enti anti-trust. MS oggi rappresenta l’esatto contrario di questo regime di concorrenza e propone la chiusura anche sulla ricerca pubblica della quale risulterebbe tra le poche a poterne effettivamente beneficiare.

Noi pensiamo che quando i fondi pubblici vengono utilizzati a supporto della ricerca e sviluppo del software, le innovazioni che ne derivano dovrebbero essere concesse a tutta la popolazione, non alle sole imprese private che ne acquistano i diritti. Se queste conoscenze fossero totalmente libere (non soggette neppure ai vincoli della licenza GPL che sta alla base del OS), esse potrebbero indifferentemente essere applicate sia a prodotti proprietari “chiusi” che a prodotti OS.

Possiamo citare, a tale proposito, il rilascio da parte dell’NSA (National Security Agency) del cosiddetto pacchetto “Linux SE” per aumentare la sicurezza delle distribuzioni GNU/Linux: sicuramente il prodotto di punta dell’OS. La strada scelta dall’NSA rivela prima di tutto l’interesse che GNU/Linux riscuote presso un ente che in cui la sicurezza viene considerata un requisito fondamentale, ma rivela anche la volontà di rendere disponibile il loro lavoro a tutti coloro che ne potrebbero trarre giovamento. Il rilascio di un pacchetto come questo sarebbe stato impossibile per qualunque sistema proprietario. Infatti, nel caso di MS Windows 2000, l’NSA si è limitata ad una serie di raccomandazioni.

Promuovere l’interoperabilità attraverso standard di piattaforme neutrali. Stabilire spontaneamente standard industriali è il modo più efficace per sviluppare piattaforme neutrali e di dialogo aperto non solo nella Pubblica Amministrazione ma presso il grande pubblico, oltre a standard basati sul mercato. Quando questi standard sono aperti e disponibili per tutti essi aiutano gli sviluppatori a creare prodotti che possano interagire tra di loro. È importante che le autorità politiche riconoscano che questi standard aperti – disponibili per ogni sviluppatore del software – non sono sinonimo di, e quindi non richiedono, necessariamente software open source per essere utilizzati. Gli sviluppatori del software commerciale che intendono proteggere la creatività e l’originalità del proprio codice sorgente danno spesso un contributo alla tecnologia e alla proprietà intellettuale necessaria per sviluppare nuovi standard. Le politiche governative sugli standard del software non dovrebbero discriminare pertanto lo sviluppo di un particolare modello di software ai danni di un altro.

Il concetto di standard aperto richiede la distinzione accademica tra “standard reale” e “standard di fatto”.


Uno “standard di fatto” è rappresentato da un sistema adottato e riconosciuto da parte dell’utenza e degli addetti ai lavori. Un esempio di questo tipo di standard è rappresentato dai formati doc e xls rispettivamente creati ed adottati da MS Word e MS Excel all’interno della suite MS Office. Questi formati, tuttavia, sono anche formati proprietari e, per quanto sia consueta abitudine non solo da parte delle aziende ma anche della Pubblica Amministrazione rilasciare e scambiare documenti di ogni genere in questi formati, le loro specifiche vengono, da MS, modificate lievemente da una versione all’altra dei già citati prodotti che li adottano rendendo i vecchi programmi incapaci di leggere i nuovi file. Questo obbliga gli utenti, in una spirale senza vie di uscita, ad aggiornare il loro parco Software per poter accedere alle informazioni provenienti dall’esterno. Inoltre è capitato spesso che si venissero a creare seri problemi di compatibilità verso il passato da parte dei nuovi strumenti, in altri casi è risultato impossibile aprire file in vecchi formati di applicativi non di punta (per esempio i file di alcune vecchie versioni di MS Works) con una conseguente perdita delle informazioni rese inaccessibili ed un relativo danno economico.

MS non ha mai rilasciato le specifiche di questi formati obbligando gli sviluppatori ad eseguire snervanti opere di reverse-engineering, pratica illegale in molti paesi del mondo, per accedere al contenuto di questi file attraverso strumenti che non siano i suddetti.

Il reverse-engineering, fino ad oggi, è risultato sempre necessario dopo ogni nuovo rilascio di una nuova “major release” (versione con modifiche sostanziali) di questi software. In questi casi, quindi, lo standard di fatto ha ben poco di “aperto” e beneficia unicamente dell’ampio bacino di utenza fidelizzato con questi sistemi perlomeno biasimabili.

Al contrario uno standard reale consente, dietro solide specifiche pubbliche e tutelate, di ottenere un formato veramente universale per le proprie informazioni: alcuni esempi sono il linguaggio HTML, usato principalmente per la creazione di pagine Web attraverso l’unione di informazioni con grafica e layout, il linguaggio XML, in grado di rappresentare ed organizzare qualunque tipo di informazione, e molti altri: buona parte dei quali adottati e promossi da prodotti OS. Uno standard reale non impedisce lo sviluppo di nuove funzionalità ma garantisce la compatibilità con il passato: rendendo sempre accessibili e visualizzabili tutti quei documenti che adottano in tutto o in parte la vecchia versione dello standard (un documento di testo, per esempio, sarà pur sempre un documento di testo!).

Mantenere la scelta di una forte tutela della proprietà intellettuale. Le autorità politiche non dovrebbero discriminare tra gli sviluppatori che scelgono di concedere i propri diritti di proprietà intellettuale in termini commerciali e sviluppatori che decidono di non ricevere un corrispettivo economico diretto del lavoro creativo svolto. Gli sviluppatori del software commerciale e di quello basato sulle community fanno affidamento entrambi sui diritti di proprietà intellettuale. Permettere ai detentori dei diritti di offrire una gamma di licenze relative alla proprietà intellettuale promuove la scelta e ulteriori innovazioni.

Le autorità politiche non dovrebbero, tuttavia, neppure discriminare coloro che scelgono di adottare la filosofia dell’OS. Infatti un appalto pubblico per l’acquisto, ad esempio, di un certo numero di automobili non potrà discriminare una marca rispetto ad un’altra.

Ricordiamo che la nascita della Free Software Foundation (FSF) ebbe origine proprio dalla volontà del suo fondatore, Richard Stallman, di promuovere il libero scambio del codice e delle informazioni negli istituti di ricerca pubblici proprio al fine di favorire ulteriori innovazioni! Questo tipo di approccio, per quanto in un primo momento potesse sembrare utopico, ha oggi dimostrato in più di una occasione la sua validità: il movimento OS e la sua continua crescita ne è una prova. Questo è un tema che affronteremo ancora in questo documento.


Nella specifica applicazione di programmi open nelle scuole italiane è importante che lo studente come il docente possano usufruire di un sistema operativo ed applicazioni familiari, di facile utilizzo e che possono ritrovare all’interno delle proprie abitazioni. Ad oggi open source non ha alcuna diffusione nelle case per elevate specifiche tecniche, che non consentirebbero ad un consumatore digiuno di informatica applicata di installarlo sul proprio PC di casa. Crediamo che l’uniformità di linguaggio e di interfaccia faciliti l’apprendimento e dia continuità al lavoro intrapreso nelle ore scolastiche per essere replicato e fonte di esercizio al rientro nelle abitazioni.

Per prima cosa è necessario notare che spesso l’utente medio è altrettanto incapace di installare un sistema operativo MS. Capita, anzi, che anche l’installazione di un applicativo complesso e modulare, come la già citata suite di MS Office, spinga gli utenti meno sicuri a chiedere perlomeno un parere ad una persona “di fiducia” reputata più esperta. Questo avviene nonostante entrambe queste procedure di installazione siano state rese il più possibile semplici ed immediate da parte di MS.

È necessario inoltre porre l’attenzione al fatto che MS Office, sistema di Office Automation usato per utilizzi basilari quali scrivere lettere, curriculum ed altri documenti di testo; fogli o tabelle di calcolo matematico e gestionale, presentazioni su slide ecc, ha un costo che si aggira sui 900 Euro. Seppure questa cifra possa risultare mitigata da offerte promozionali dirette alle scuole, agli insegnanti ed agli studenti, i costi del software risultano comunque inaccessibili soprattutto da parte di questi ultimi e di molti docenti. Obbligare l’adozione di questi prodotti con una politica di istruzione “monomarca” equivale a spingere queste classi sociali verso la pirateria informatica, aggravata dal fatto che le istituzioni stesse ne sarebbero responsabili. L’Open Source, e noi con esso, non spinge in questa direzione: le aziende hanno il diritto, se vogliono, di far pagare i prodotti da esse sviluppati con un sistema di licenze, le leggi che le tutelano esistono e vanno rispettate. È importante, quindi, che sia chiaro il fatto che adottare in ambito scolastico prodotti OS spinge nella direzione contraria: rendendo inutile e superflua la pratica illegale della pirateria informatica.

Per maggiore chiarezza riteniamo utile dare alcuni chiarimenti su cosa si intenda per programmi open source e quali siano i punti di forza e di debolezza di tale sistema.

Con il termine open source si identificano software e licenze che permettono al cliente di accedere, studiare, modificare, migliorare e trasferire i codici sorgenti del prodotto. Questi, però, non sono di pubblico dominio, per cui l’accesso ad essi è soggetto a licenza (GPL, General Public License). La GPL è una licenza che vincola l’autore a sottoscrivere la disponibilità gratuita sotto determinati vincoli, che vietano lo sfruttamento commerciale di tutti coloro che apporteranno le successive modifiche.

Queste affermazioni sono infondate.
Esistono e prosperano o sopravvivono, secondo le canoniche leggi di mercato, aziende che, oltre a distribuire Software OS, offrono “servizi a valore aggiunto” a pagamento quali assistenza, consulenza, formazione, installazione ecc. È di enorme interesse, tra l’altro, il fatto che, in un mercato tecnologico egemonizzato dai colossi statunitensi, molte di queste aziende siano europee (per es. Mandrake e SuSE). La licenza GPL impone, in questo contesto, unicamente il vincolo che un prodotto sviluppato partendo dal codice di una altro prodotto GPL rispetti anch’esso la medesima licenza. Esistono poi aspetti della licenza GPL che impongono il riconoscimento della paternità originaria e naturalmente il rilascio del codice. La filosofia OS, inoltre, non si limita alla sola licenza GPL ma anche, ad esempio, alle meno restrittive LGPL e BSD, di quest’ultima, tra l’altro, MS stessa ha più volte riconosciuto la validità in quanto si avvicina maggiormente al suo modello Shared Source.

Punti di forza – una caratteristica comune a tutti i prodotti Open Source è la possibilità di avere accesso ai codici sorgenti. Permettendo a chiunque di visualizzarli, e in alcuni casi di modificarli, l’ Open Source dà benefici unici rispetto al software commerciale in quanto l’accesso ai codici sorgenti: * permette agli sviluppatori di migliorare il software e di eliminarne i difetti; * insieme alla limitata protezione della proprietà intellettuale comporta un minor costo di acquisizione; * può portare a maggiori livelli di trasparenza del prodotto; * crea una realtà interattiva di scambio competente e conoscenze.

Come MS stessa fa notare tutti questi aspetti risultano difficili se non impossibili da applicare al Software proprietario.

Punti di debolezza – sono tipici dei prodotti Open Source:

il mito del software gratuito trascura il fatto che i servizi correlati – installazione, manutenzione, manualistica e supporto tecnico – possono essere costosi. Di conseguenza il costo totale può rivelarsi elevato anche se il software stesso è economico. Non è un caso che le società che erogano servizi a pagamento di assistenza ed installazione di programmi open abbiano un proprio fatturato consistente e si pongano sul mercato come una qualsiasi società di business;

Qui si parte da una visione distorta del mondo OS abbastanza comune. Prima di tutto va detto che con Free Software non si intende Software gratuito bensì Software Libero: libero di essere copiato, modificato, distribuito. Le aziende che costruiscono il proprio business su questo concetto sono pienamente in regola con la licenza GPL (o qualunque altra pertinente all’OS) dei prodotti che sviluppano e distribuiscono. Facciamo inoltre notare che MS è qui in pesante contraddizione con le proprie precedenti affermazioni che vedevano impossibile un uso commerciale dell’OS.


Esiste uno studio comparato del Total Cost of Ownership per singolo PC fatto usando come modello una piccola azienda italiana che dimostra che il TCO annuo di un computer con Microsoft è del 34% più alto di uno con Linux.

D’altronde, anche l’esperienza diretta sul campo di alcuni di noi conferma questo dato. Fare assistenza su sistemi Microsoft è più oneroso di circa un 50%, nel migliore dei casi, rispetto a sistemi Debian equivalenti.

l’accesso ai codici sorgenti rende più facile il loro miglioramento ma li rende anche più vulnerabili agli attacchi degli hackers. Risolvere i problemi inerenti alla sicurezza del software Open Source può essere molto difficile dato che non è stata un’unica entità a sviluppare il programma;

La diatriba tra coloro che vedono una maggior sicurezza nella riservatezza del codice e coloro che preferiscono un codice più trasparente possibile è annosa ed, in realtà, fine a se stessa. Molto spesso i sostenitori della riservatezza a tutti i costi hanno interessi personali nel sostenere questa ipotesi.
La nostra visione dell’argomento si basa sull’osservazione di ciò che, di fatto avviene nel mondo reale. Come una serratura non è sicura in virtù della segretezza del suo funzionamento, ma in virtù della difficoltà di aprirla con una chiave falsa, così per il software la segretezza non dà sicurezza. Questo concetto è ben riassunto nelle parole del professore Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino: “Chiavistello pubblico, chiave privata!”.

Oggi gli addetti ai lavori in campo informatico sono ormai abituati e un po’ rassegnati alle ondate di virus via e-mail che colpiscono con frequenza impressionante le macchine MS Windows soprattutto se usano MS Outlook nelle sue diverse versioni come lettore di posta elettronica. Ciò non è oggi riscontrabile, invece, con nessun altro prodotto non necessariamente OS.

Nel campo dell’hacking la frequenza degli attacchi portati a termine con successo verso architetture MS è molto più elevata di qualsiasi altra ma è necessario fare alcune considerazioni:

– MS giustifica questo fatto, solitamente, con la legge dei grandi numeri: le macchine con i loro sistemi operativi e i loro programmi in Rete sono in netta maggioranza. Gli attacchi hacker, tuttavia, sono quasi sempre diretti ad architetture server e non ai client dei semplici utenti; qui le proporzioni tendono ad essere sostanzialmente ridimensionate. Inoltre un gran numero di aziende ‘in vistà, e quindi più appetibili ad attacchi hacker, usano sistemi diversi sia da quelli OS che da quelli MS (solitamente architetture Unix proprietarie quali Sun Solaris, SCO o HP-UX) le quali tendenzialmente, grazie anche ad una certa abitudine da parte del loro tema sistemistico ad eventi di questo tipo, reggono bene a questo tipo di attacchi. Un altro fattore importante è la possibilità, da parte degli hacker di attaccare un’architettura non tanto attraverso il sistema operativo quanto di un particolare servizio che vi gira. Se questo servizio è il Web Server, grazie ad Apache le proporzioni si capovolgono a netto vantaggio dell’OS. Apache può essere installato su GNU/Linux come su altri sistemi proprietari Unix, Macintosh o MS.

– È in atto una sorta di crociata degli ambienti hacker contro i prodotti MS. Bisogna, però, considerare che molti di questi attacchi vengono portati avanti da cosiddetti “script kiddies” cioè dal gradino più basso delle competenze hacker: costoro si limitano ad usare programmi di intrusione scaricabili da Internet già sviluppati da altri che sfruttano vulnerabilità note. In questo caso è interessante notare che per questa categoria di hacker è molto più semplice attaccare con successo sistemi MS che qualunque altro. In questo caso, almeno in parte, il ‘merito’ è proprio nella tanto decantata uniformità di programmi e sistemi operativi proprietari diffusi nel mondo.

– La fama, giusta o sbagliata non è importante, della maggiore sicurezza dei sistemi Unix e Unix-like (quali GNU/Linux) dovrebbe essere considerata una sfida per gli hacker, invece – tendenzialmente – gli attacchi verso architetture MS risultano più frequenti.

– Negli attacchi hacker il fattore umano è fondamentale. La qualificazione del personale che amministra i server risulta ben più importante dell’architettura adottata. L’amministratore di sistemi improvvisato o poco esperto tenderà ad usare il sistema operativo che conosce meglio ignorando o non sapendo come implementare alcune accortezze per migliorarne la sicurezza.

Preferiamo a questo punto lasciare al lettore le considerazioni su questi punti.


La trasparenza è un elemento fondamentale per la gestione della sicurezza. Come può esserci certezza della propria sicurezza se non si è a conoscenza del come essa viene realizzata? Che valore ha una certificazione emessa dal produttore del software senza che nessuno al di fuori del produttore stesso possa verificarla? Un sistema basato su una tecnologia pubblica può essere studiato, sottoposto a prove, da parte di chiunque, istituzioni scientifiche comprese. E può essere migliorato attraverso un confronto pubblico che non nasconda ad alcuno i punti deboli del sistema in questione. Rendere pubblica la tecnologia su cui si basa una serratura non vuol dire rendere pubblica la chiave che serve per aprirla.

l’elevata dipendenza dalle competenze tecnico informatiche richieste da chi installa programmi open source, fa pensare sempre di più ad un processo di involuzione tecnologica, le cui competenze sono sempre più accentrate nelle mani di pochi esperti;

Molte delle tecnologie OS sono molto giovani, nonostante questo molte società distributrici di prodotti OS (Mandrake, SuSE e RedHat in testa) rilasciano ormai da tempo delle versioni facili quanto quelle MS e ben documentate dei loro programmi di installazione. È poi importante precisare che per quanto risulti abbastanza facile installare un sistema operativo MS “da casa” (per la categoria di prodotti Server e per le Workstation professionali, serie NT, il discorso è ben diverso), sono relativamente pochi gli utenti medi che l’hanno mai affrontata. Questo è almeno parzialmente vero anche per molti prodotti di Office Automation. Negli uffici esistono spesso dei tecnici preposti esclusivamente a questo tipo di installazioni. L’accentramento delle competenze ha inoltre una corrispondenza anche con il modello proprietario: qui sono gli sviluppatori originari e soltanto loro che possono effettuare determinate operazioni. Il resto della comunità di utenti e tecnici si deve affidare al sistema di distribuzione e supporto ed effettuare una serie di operazioni (quale l’installazione dei Service Pack) sulla fiducia.

la possibilità di modificare i codici sorgenti comporta che possano esistere diverse versioni di uno stesso programma. Gli sviluppatori potrebbero trovarsi in disaccordo tra loro e seguire strade diverse, i fornitori potrebbero voler differenziarsi dagli altri. Risultato: le diverse versioni dello stesso prodotto potrebbero essere tra loro incompatibili; Il software Open Source ha uno sviluppo incerto poiché non è supportato da alcuna azienda produttrice. Non ci sono garanzie che in futuro vengano fatti investimenti per migliorarne le applicazioni. In pratica, una percentuale significativa di software “muore” lasciando una tecnologia obsoleta che non può interamente sostituirli.

Tranne casi eccezionali un Software – qualunque licenza adotti – muore quando la tecnologia che supporta è obsoleta. MS stessa ha ormai da più di un anno smesso di rilasciare Patch (programmi che correggono specifici errori in un Software) per Windows NT 4.0 che, fino alla fine del 1999, rappresentava il proprio prodotto di punta per il mercato Server e Workstation professionali.

Tra i casi eccezionali in cui un Software muore senza che la nuova tecnologia sia supportata vi è il fallimento o l’acquisizione della società che lo produceva. Nel caso di Software proprietario questo prodotto può venire acquistato da una terza azienda, inglobato nei propri Software dalla società acquirente o perdersi per sempre. Nel caso dell’OS se la comunità di utenti ritiene valido quel prodotto può nascere un nuovo team che ne porta avanti lo sviluppo. È il caso di Nautilus, sviluppato inizialmente da Eazel. In caso di particolari prodotti, inoltre, la divisione del progetto (forking) è stata auspicata e guidata in modo da godere, in una fase successiva, degli sviluppi, economici e tecnologici, di entrambi i rami: è il caso di Netscape/Mozilla o StarOffice/OpenOffice.

I timori segnalati da MS sul forking dovuto a disaccordi interni non hanno mai, fino ad oggi, registrato casi degni di nota che abbiano portato ad incompatibilità così clamorose.

Potrebbero, potrebbero, potrebbero… In realtà si può dimostrare che è sicuramente vero l’opposto. Se si analizza la storia dei software liberi di successo, si scopre che non solo non è successo quello che potrebbe succedere secondo MS, ma ci accorgiamo che viene mantenuta addirittura la compatibilità attraverso piattaforme hardware diverse, cosa che con il software proprietario non è quasi mai possibile, salvo rarissime eccezioni. Il software libero garantisce un ampio grado di libertà a chi ne viene in possesso. Egli manterrà sempre la libertà di rivolgersi a chiunque desideri per ricevere supporto e assistenza. E chi gliela dovesse fornire, avrà accesso a tutta la documentazione possibile, sorgenti compresi, senza che nulla venga deliberatamente nascosto per tutelare chissà quali segreti.

Inoltre, come abbiamo già fatto notare, proprio diverse versioni di più di un prodotto MS risultano incompatibili tra di loro; questo mostra come proprio nel caso di sviluppo accentrato si verifichino i timori che MS attribuisce allo sviluppo OS.


Aree di dibattito – cinque sono i punti fondamentali su cui verte la discussione tra modelli commerciali, cosidddetti proprietari ed Open Source:

DIFFUSIONE. Diversamente dai sistemi operativi ed applicazioni proprietarie, i sistemi open source non hanno alcuna diffusione nelle case e nei PC in genere. Lo sviluppo asimmetrico di un prodotto verso un altro dovrebbe coincidere con le competenze di tutti favorendo linearità con quanto già esiste sul mercato. Questo vale maggiormente quando parliamo di E-Government che dovrà favorire lo scambio e il dialogo fra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. La Pubblica Amministrazione, crediamo quindi debba fare leva su sistemi ad oggi più diffusi in modo tale da non dover colmare un gap di alfabetizzazione che comporterebbe tempo e costi ulteriori con conseguenti difficoltà gestionali.

Normalmente statistiche di questo tipo di basano sul fatto che di solito un Personal Computer (PC) viene venduto con il sistema operativo (regolarmente MS) in “Bundle”, cioè preinstallato. L’utente si trova a non avere scelta e paga per un Software che potrebbe anche non volere e del quale è molto difficile farsi rifondere la spesa attraverso una lunga trafila burocratica. Spesso addirittura l’utente poco smaliziato potrebbe pensare che il sistema operativo è gratuito sul PC che ha appena comprato. In questo contesto la vendita di un PC con sistema operativo preinstallato potrebbe essere una violazione delle leggi anti-trust a seconda dei diversi paesi del mondo.

L’adozione da parte di una azienda, come standard interno, di documenti in formato proprietario (doc, xls, ppt ma anche psp per le immagini o wma per l’audio) può essere biasimabile ma legittima. Una Pubblica Amministrazione (PA) che adotta i medesimi standard limita la fruibilità di questi documenti da parte di moltissimi cittadini: non soltanto coloro che vogliono adottare Software OS, ma anche coloro che si appoggiano a sistemi Unix proprietari (SCO, Solaris, HP-UX) e coloro che usano computer e sistemi operativi proprietari diversi da quelli MS (Macintosh, Silicon Graphics, AS/400) e coloro che, pur adottando un sistema MS Windows, non possiedono la licenza e quindi non hanno installato, per esempio, la suite di MS Office. Sull’argomento consigliamo la lettura delle risposta ad una lettera simile a questa da parte del parlamentare peruviano Edgar David Villanueva Nuñez.

COSTI TOTALI. Open Source non significa free, ma al contrario tale sistema ha dei costi proporzionati all’elevata competenza tecnica richiesta nell’installazione, la manualistica e la manutenzione. Servizi questi che fanno parte integrante del pacchetto software proprietario.

Come MS stessa ha fatto notare in precedenza, i servizi a valore aggiunto sono parte integrante e primaria delle aziende che basano il loro modello di business sull’OS.
Come noi abbiamo già commentato la parola “free” deve essere tradotta con “libero” e non con “gratuito”.

MS stessa, infine, considera la possibilità di un Software completamente ed effettivamente gratuito come una concorrenza sleale che mina le basi economiche del mondo occidentale, ma vi paragona erroneamente il sistema GNU/Linux. La scelta tra Software diversi deve essere basata su una analisi oggettiva dei pregi e dei difetti economici e tecnologici. L’istruzione dovrebbe, quindi, mostrare entrambi gli approcci OS e proprietario in modo da preparare gli studenti al mondo del lavoro e ai sistemi informatici che permeano ormai la nostra vita. Il fatto che i servizi relativi all’installazione, la manualistica e soprattutto la manutenzione siano parte integrante di un qualsiasi pacchetto software proprietario è assolutamente falso.

MS applica, come servizio a pagamento, sia l’assistenza telefonica (alla quale ci si può addirittura abbonare) che il rilascio dei CD con gli aggiornamenti di Patch e Service Pack (raccolte di Patch). In quanto alla formazione per le aziende esistono corsi, anch’essi a pagamento, per la certificazione di diversi aspetti professionali su prodotti MS. Ciascuno di questi servizi viene ovviamente pagato indipendentemente dai costi dei pacchetti Software acquistati.

MODELLI DI BUSINESS. Dopo diversi anni di sperimentazione dei modelli di Open Source, poche sono le aziende che hanno realizzato profitti. La limitata protezione della proprietà intellettuale per i prodotti Open Source scoraggia gli investimenti e porta molti dei prodotti nelle mani di grandi aziende produttrici di software che incrementano i prezzi dell’hardware per compensare le spese sostenute per lo sviluppo del software.

Le Partnership di alcuni produttori e distributori di Software OS con colossi quali IBM ed Oracle con relativi investimenti non può che provare una volta di più la validità di questi sistemi. La maggiorazione nel prezzo dell’hardware per coprire i costi di sviluppo è tutta da provare, in compenso la già citata vendita di Software proprietari in Bundle con i PC non è altro che la medesima, ben più tangibile, strategia di mercato. Le aziende, alcune delle quali ormai diventate multinazionali, che si sono affidate al mondo OS sono già state più volte citate in questi commenti. Altri sistemi operativi proprietari (BeOS, OS/2) sono invece stati soffocati dalla concorrenza del monopolista di fatto MS.


IMPATTO SULL’ECONOMIA. Se il modello Open Source venisse ampliamente adottato, obbligherebbe le aziende che producono software commerciale a modificare il loro modo di fare business. Si verificherebbe un dirottamento della spesa informatica dai produttori di software verso quelli di hardware e i fornitori di servizi. L’impatto che questo avrebbe sull’economia locale (rivenditori e aziende di sviluppatori di piccole dimensioni), sarebbe pesantemente negativo.

Nulla vieta ai due modelli di convivere esattamente come avviene oggi. Se MS teme la crescita del modello OS verrebbe cinicamente da pensare che abbia paura delle sue prospettive di sviluppo in quanto portatore di prodotti più validi e meno costosi dei propri.

SICUREZZA. Il rischio di virus e di attacchi da parte degli hackers è il medesimo su entrambi. Il modello Open Source presenta un rischio maggiore in quanto la disponibilità dei codici sorgenti innesca una rincorsa tra chi sviluppa il software e cerca di identificarne ed eliminarne le vulnerabilità e gli hackers che utilizzano proprio la trasparenza offerta dal modello Open Source per sfruttare le debolezze dei codici di base del prodotto.

Purtroppo per identificare di un errore in un programma non è affatto sufficiente osservarne il codice sorgente. Altrimenti sia i Software proprietari che OS verrebbero rilasciati sempre e comunque esenti da errori. Lo sviluppo di virus per piattaforme Unix o GNU/Linux ad oggi ha prodotto non più di una decina di programmi. Si tratta quasi esclusivamente di codice sperimentale e solo parzialmente funzionante. Esistono invece aziende (per esempio McAfee e Symantec) che, grazie all’enorme numero di virus costantemente in aumento, hanno potuto fare degli antivirus per MS Windows uno dei loro business di punta.

Degli attacchi hacker abbiamo già parlato. Ad oggi il rischio si è rivelato, statistiche alla mano, ben sproporzionato a sfavore dei prodotti MS.

Il dibattito sull’open source rimane aperto. Sempre più persone si interessano ai codici sorgenti, e sempre più produttori ne permettono l’accesso a determinate condizioni. Microsoft considera i codici sorgenti e le relative licenze una parte del software commerciale. Per diversi anni ne ha consentito l’accesso a istituzioni accademiche e a diversi produttori. Ha ascoltato le richieste dei clienti, analizzato il modello Open Source mettendone in evidenza i lati positivi e negativi. Un’ulteriore soluzione che Microsoft prospetta è costituita dallo shared source. Si tratta di un approccio bilanciato che permette di condividere i codici sorgenti dei prodotti Microsoft con i clienti mantenendo nel contempo i diritti di proprietà intellettuale necessari ad alimentare il business del software. Due gli obiettivi così raggiunti: creare valore aggiunto al business e sostenere le innovazioni tecniche.

Il modello Shared Source non garantisce la libertà della licenza GPL perché non consente la modifica del codice in oggetto (neppure dietro pagamento di royalties).
All’interno delle strategie MS nasce il sospetto che questo modello sia stato adottato principalmente in quanto costituisce una buona base di difesa all’interno del processo anti-trust in cui è accusata l’azienda negli Stati Uniti e nel quale è riuscita ad evitare lo smembramento.

Speriamo che questo documento sia uno stimolo alla discussione, qualora MS (o altri) desiderassero esporre il proprio punto di vista, a qualunque livello di dettaglio, perché siamo convinti che lo scambio di opinioni sia fondamentale in un processo decisionale che porta a scelte in cui tutti (come cittadini italiani) siamo più o meno direttamente coinvolti.

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Pubblicato il
8 lug 2002
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