Operazione Data Room: rubavano dati a TIM per rivenderli ai call center

Rubavano dati a TIM per rivenderli ai call center

La Polizia Postale ha pubblicato i dettagli dell'operazione Data Room: un'organizzazione rubava dati personali a TIM per venderli ai call center.
Rubavano dati a TIM per rivenderli ai call center
La Polizia Postale ha pubblicato i dettagli dell'operazione Data Room: un'organizzazione rubava dati personali a TIM per venderli ai call center.

Approfittavano della possibilità di accedere ai dati personali dei clienti per poi andarli a rivendere a terzi: l’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, e condotta dagli investigatori specializzati del Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche – CNAIPIC del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, con la collaborazione dei Compartimenti di Napoli, Perugia, Ancona e Roma, ha svelato quanto stava accadendo.

Nome in codice dell’operazione: “Data Room“. Ecco perché.

Operazione Data Room

La spiegazione fornita dalla Polizia Postale è relativa al fatto che il meccanismo emerso e bloccato è relativo a dati indebitamente fuoriusciti dalla “data room” di TIM (“La data room tradizionale infatti era una stanza costantemente sorvegliata, situata, di solito, presso la sede del venditore o in quella dei suoi legali che gli interessati ed i loro consulenti potevano visitare allo scopo di consultare documenti, registri ed altri dati resi disponibili“) e quindi smerciati per poter essere monetizzati con offerte varie.

Oltre 100 specialisti della Polizia Postale sono impegnati a dare esecuzione a 20 provvedimenti cautelari, in particolare 13 ordinanze che dispongono gli arresti domiciliari ed ulteriori 7 ordinanze che dispongono l’obbligo di dimora nel comune di residenza ed il divieto di esercitare imprese o ricoprire incarichi direttivi in imprese e persone giuridiche. I destinatari di dette misure sono oggetto, unitamente ad ulteriori 6 indagati, di perquisizioni locali ed informatiche. […]

Tra i destinatari dei provvedimenti figurano dipendenti infedeli di compagnie telefoniche, (i procacciatori materiali dei “preziosi” dati), gli intermediari che si occupavano di gestire il commercio illecito delle informazioni estratte dalle banche dati ed i titolari di call center telefonici, che sfruttavano tali importanti informazioni per contattare i potenziali clienti e lucrare le previste commissioni per ogni portabilità, che arrivano fino a 400 euro per ogni nuovo contratto stipulato.

La cifra lascia ben capire quanto preziosi fossero questi dati. L’indagine ha fatto emergere una vera e propria filiera del malaffare, con varie figure specialistiche che dovevano carpire le chiavi di accesso, operare sui database ed estrarre dati in grosse quantità (l’indagine parla di qualcosa come “centinaia di migliaia di record al mese“). I contatti così raccolti venivano in seguito acquisiti da call center campani (13 già individuati) che li utilizzavano per costruirci su un mercato dai forti introiti:

Di assoluto livello criminale la mole dei proventi, come emerge da più di una una conversazione nella quale alcuni indagati discutono dei corrispettivi, frutto dell’attività illecita, pattuendo la ripartizione dei proventi illeciti del mese, per decine di migliaia di euro da spartirsi tra gli operatori infedeli ed i collettori/rivenditori dei dati.

Non solo TIM è estranea ad ogni accusa, ma è essa stessa parte denunciante: il gruppo ha attivamente collaborato in fase di indagine per far emergere il fenomeno fraudolento, consentendo agli inquirenti di raccogliere abbondante materiale probante e di risalire agli “imprenditori” a monte del sistema.

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Pubblicato il
26 giu 2020
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