Come previsto e ampiamente prevedibile, Oracle ha dato il la al suo appello contro la decisione di scagionare Google dall’accusa di aver “rubato” il codice Java, codice che Oracle detiene dopo l’acquisto (salato) di Sun e la cui esclusività intende difendere sino in fondo.
La prima tornata dello scontro legale si è conclusa a favore di Google su tutta la linea, scagionando Mountain View dall’accusa di violazione del copyright e liquidando le minime somiglianze fra il codice della VM di Android e Java come “fair use” e quindi non sanzionabili. A Oracle è stato imposto persino il pagamento delle spese legali milionarie sostenute dalla difesa, ma ora la proprietaria di Java torna all’attacco aprendo l’appello con la descrizione di un ipotetico caso di violazione del copyright che nelle intenzioni dei legali sarebbe identico a quanto verificatosi nel caso di Google.
L’introduzione di Oracle parla di una certa “Ann Droid” (ogni riferimento a cose e fatti esistenti è puramente voluto?) che “vuole pubblicare un best seller”, ottiene in anteprima una copia del quinto libro della saga di Harry Potter e nei copia i titoli dei capitoli, le frasi introduttive e altri piccoli pezzi.
Il libro scopiazzato viene pubblicato come “Ann Droid’s Harry Potter 5.0”, fantastica la difesa di Oracle, e diventa immediatamente popolare. In risposta all’accusa di violazione del copyright da parte dell’autrice originale, Ann Droid si appella al fair use:la stessa difesa che è servita a Google per farla franca con Java.
Ma Mountain View “ha copiato un blockbuster letterario tanto certamente, e inappropriatamente, quanto Ann Droid – e si è difeso nella stessa maniera”, chiosa Oracle. La legge copyright è pensata per difendere qualsiasi lavoro creativo e quindi anche le API Java, dicono i legali di Oracle. La parola passa ora a Google.
Alfonso Maruccia