P2P francese, un esempio da non imitare

P2P francese, un esempio da non imitare

di Guido Scorza - Si accusa l'abbonato Internet e non chi scarica, si demolisce la privacy e si limita il diritto di accesso alla PA e alle istituzioni online. La decisione francese fa acqua ma in Italia piace a molti. A troppi
di Guido Scorza - Si accusa l'abbonato Internet e non chi scarica, si demolisce la privacy e si limita il diritto di accesso alla PA e alle istituzioni online. La decisione francese fa acqua ma in Italia piace a molti. A troppi

A distanza di meno di un anno da quando, il 23 novembre del 2007, Denis Olivennes presentava all’Eliseo la sua ricetta per combattere la pirateria audiovisiva, il senato francese ha approvato , nei giorni scorsi, in prima lettura, il progetto di legge destinato a dare attuazione in Francia a tale ricetta.

Si tratta di una soluzione che, come è noto ai lettori di Punto Informatico, qualcuno sembra intenzionato ad importare nel nostro Paese e che è, pertanto, rilevante esaminare al fine di evidenziarne, sin d’ora, taluni aspetti che sollevano grosse perplessità con l’auspicio che ciò valga a far desistere il Governo dalla tentazione di seguire l’esempio dei cugini francesi.
Cominciamo dalla filosofia della norma: la violazione dei diritti di proprietà intellettuale può comportare la sospensione – da un mese ad un anno – del diritto dell’utente di accedere ad Internet.

Si tratta di una misura irragionevole e sproporzionata.

L’accesso alle risorse di connettività costituisce oggi un diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino, diritto che andrà, peraltro, progressivamente arricchendosi di contenuto in maniera direttamente proporzionata al crescere delle forme di utilizzo di internet quale strumento di esercizio di diritti civili e politici e di interrelazione tra cittadino e pubblica amministrazione.

Basti pensare alla Rete quale mezzo di accesso all’informazione ed al patrimonio culturale in digitale ma, anche, all’uso delle tecnologie informatiche e telematiche nei rapporti tra PA e cittadino così come ridisegnati dal Codice dell’amministrazione digitale.

Privare una persona dell’accesso alle risorse di connettività, pertanto, nel secolo della Rete, vuol dire privarla dell’esercizio di una pluralità di diritti, se non sovra-ordinati rispetto a quello di proprietà intellettuale che si vorrebbe proteggere, almeno, pari-ordinati.
Già sotto tale profilo, pertanto, la proposta di legge francese sembra da respingere.
Si tratta, tuttavia, di aspetti già trattati.
La lettura del disegno di legge rivela poi ulteriori ed ancor più preoccupanti aspetti.

C’è, innanzitutto, un profilo poco approfondito e, probabilmente, sottovalutato nella comunicazione “giornalistica” che ha, sin qui, accompagnato le vicende relative all’iniziativa francese: il progetto di legge non sanziona il soggetto che si rende autore – o che tale viene ritenuto – della violazione dei diritti di proprietà intellettuale ma, piuttosto, il titolare dell’abbonamento ad Internet attraverso il quale si assume esser stata perpetrata la violazione.

La proposta di legge, infatti, impone alla “persona titolare dell’accesso a servizi di comunicazione al pubblico in linea” – sia essa, dunque, un genitore, un datore di lavoro o, piuttosto, un amico che ospita in casa un altro amico – l’obbligo di vigilare che tale accesso non sia utilizzato al fine di riprodurre, comunicare o mettere a disposizione del pubblico opere protette da diritto d’autore senza l’autorizzazione del titolare dei diritti.

Il titolare dell’abbonamento ad internet potrà sottrarsi alla responsabilità derivante dall’eventuale violazione dei diritti d’autore posta in essere attraverso le proprie risorse di connettività, solo qualora abbia adottato uno dei sistemi di protezione destinato ad essere “omologato” dalla costituenda Autorità, qualora l’utilizzo di dette risorse sia stato posto in essere “fraudolentemente” da una persona non posta sotto l’autorità o la sorveglianza del titolare dell’abbonamento – non dunque nel caso in cui si tratti di un genitore o del datore di lavoro – o, infine, nell’ipotesi di forza maggiore.

Si tratta di una disposizione dirompente per l’equilibrio del sistema che, al fine di tutelare i diritti patrimoniali d’autore, compie una pericolosa traslazione della responsabilità dal presunto pirata a chi – inconsapevolmente – fornisce a quest’ultimo le necessarie risorse di connettività.

In un sistema nel quale la responsabilità penale è personale, prima di introdurre nuove posizioni di garanzia dalle quali far derivare ipotesi eccezionali di responsabilità per culpa in vigilando credo bisognerebbe pensarci in modo più serio ed approfondito.

Senza contare che, per tale via, anziché spingere gli utenti alla più ampia condivisione possibile delle risorse di connettività, li si obbliga a farne un uso geloso e, forse, a farne a meno pur di non rischiare di incorrere nelle sanzioni previste dalla nuova disciplina.

Sotto tale profilo mi sembra che il disegno di legge si commenti da solo: è un’iniziativa liberticida che – in nome della sacrosanta tutela dei diritti di proprietà intellettuale – rischia di produrre conseguenze devastanti in termini di digital divide, frenando anziché incentivare l’utilizzo delle risorse internet.

Il problema è sempre lo stesso: continua a guardarsi all’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale in una prospettiva “copyright centrica”, quasi che vi siano norme nei nostri ordinamenti che consentano di porre il diritto d’autore in una posizione superiore rispetto a quella di altri diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.

Un altro aspetto sul quale occorre riflettere è rappresentato dalla circostanza che l’intero impianto della nuova normativa riposa, evidentemente, su una forte compressione del diritto alla privacy di tutti gli utenti che sono destinati a veder monitorata ogni attività di scambio di contenuti digitali attraverso le proprie risorse di connettività.

È, infatti, evidente che solo per questa via la nuova autorità potrà individuare – o ritenere di individuare – eventuali condotte di violazione dei diritti d’autore.

Il disegno di legge approvato nei giorni scorsi dal Senato francese, d’altra parte -proprio al fine di rendere efficace il nuovo meccanismo di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale – riconosce alla Commissione per la protezione dei diritti costituita in seno all’Autorità e – quel che è peggio – agli ispettori che essa utilizzerà nell’esercizio delle proprie funzioni, il diritto di accedere direttamente e/o tramite i provider ad un enorme quantità di dati personali degli utenti.
Si tratta di una compressione del diritto alla privacy senza precedenti, che non appare giustificata dal rilievo esclusivamente economico degli interessi che si vorrebbero tutelare e che, in ogni caso, non può prescindere – come invece previsto nel disegno di legge approvato dal Senato francese – da un ordine di un’Autorità giudiziaria.

Al riguardo sembra appena il caso di ricordare l’illuminante decisione della Suprema Corte tedesca del febbraio scorso nonché il parere – benché secretato dal Governo – che lo stesso CNIL sembrerebbe aver rilasciato sul disegno di legge .

Anche sotto tale profilo la soluzione francese rappresenta un pessimo esempio da non imitare.
Tra i tanti di cui si potrebbe ancora parlare, vi è, poi, un altro aspetto da non sottovalutare.
I provvedimenti sanzionatori – anche secondo l’ultima versione del disegno di legge approvato dal Senato – sono adottati dalla Commissione per la protezione dei diritti nell’ambito di una non meglio disciplinata procedura in contraddittorio, con la conseguenza che al destinatario della sanzione non resterà che impugnare la decisione dinanzi ad un’Autorità giudiziaria ancora neppure individuata nel disegno di legge.

Ve lo immaginate voi il Sig. Rossi il cui figlio in un anno ha scaricato per due volte due cartoni animati da una piattaforma di P2P che, ricevuta la notifica di un provvedimento di sospensione dell’abbonamento ad internet per qualche mese, avvia, nel nostro Paese – dove un giudizio dura tre o quattro anni e costa migliaia di euro – una causa di impugnazione avverso il provvedimento adottato dalla Commissione senza, peraltro, disporre – a distanza di mesi dall’episodio contestato – neppure di elementi di prova a discolpa sua e/o del figlio?

Io francamente no. Parola di un avvocato che – pur di non confrontarsi con i costi e le lungaggini di un banale procedimento di opposizione ad una sanzione amministrativa – preferisce pagare le contravvenzioni per violazioni del codice della strada anche quando qualche vigile miope sostiene di averlo visto al centro di Roma su una macchina che non possiede mentre si trovava a Parigi!

A parte facili battute, la declinazione della soluzione Sarkozy-Olivennes contenuta nel disegno di legge mi sembra, sotto tale profilo, ancora lontana dal potersi ritenere in linea con quanto di recente stabilito dal Parlamento Europeo.

L’elenco delle cose che proprio non vanno nella nuova strategia della lotta alla pirateria online che emerge dal disegno di legge approvato nei giorni scorsi dal Senato francese potrebbe proseguire ancora a lungo ma, allo stato, forse è meglio sperare che il Governo italiano guardi più lontano e non commetta l’errore di “barattare” la tutela della proprietà intellettuale con i diritti fondamentali dei cittadini.

Sperare, naturalmente, non basta: occorrerà formulare proposte concrete, mature ed equilibrate a conferma che questo non è un Paese di pirati che merita di essere posto sotto stretta sorveglianza e privato dell’esercizio delle più elementari libertà dell’Era digitale.

Guido Scorza
www.guidoscorza.it

I precedenti interventi dell’avv. G.S. sono disponibili a questo indirizzo

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Pubblicato il
7 nov 2008
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