P2P, il parere di un'autrice

P2P, il parere di un'autrice

Tra le non poche lettere di autori che in queste settimane hanno scritto alla redazione pubblichiamo l'intervento di un'autrice italiana che lamenta la fossilizzazione degli attuali modelli di protezione delle opere
Tra le non poche lettere di autori che in queste settimane hanno scritto alla redazione pubblichiamo l'intervento di un'autrice italiana che lamenta la fossilizzazione degli attuali modelli di protezione delle opere


Roma – Salve gentile redazione di PI, vi scrivo perchè, seguendo le notizie e le polemiche sul P2P e sul DL Urbani, ho notato che nessun autore ha ancora espresso un parere in materia (non contando l’ottima proposta dei Thematika che avete pubblicato ). Vorrei mettere in luce alcuni punti sulla situazione di noi autori rispetto a SIAE e major, e cercare di mostrare quali sono i veri ostacoli che hanno portato alla lotta pro-contro il P2P.

Il bollino SIAE dev’essere applicato all’opera IN OGNI CASO, anche se l’autore non ha nulla a che vedere con la SIAE. Questo comporta una spesa extra per il mio distributore a cui io autrice non ho i mezzi per sottrarlo. Inutile dire che i bollini vanno richiesti alla SIAE, e si pagano (pure salati, a quel che so).

Nel caso l’autore fosse registrato alla SIAE e avesse depositato lì le sue opere, non può più decidere liberamente come usarle. Per esempio, se vuole dare i propri personaggi gratis per farli dipingere sui muri del reparto pediatrico di un ospedale, non può farlo. L’ospedale DEVE pagare la SIAE e quando l’autore riceve i soldi (ma li riceve? molti dicono di no) può restituirli all’ospedale. Nemmeno una lettera dell’autore che autorizza l’uso gratuito serve a nulla: l’ospedale deve comunque pagare.

Inoltre, l’autore è proprietario dell’opera a prescindere. Certo, in tribunale bisogna provarlo. Peccato che molti contratti con publisher e produttori “nascondano” clausole di cessione dell’IP (proprietà intellettuale) dietro un linguaggio oscuro e incomprensibile. L’autore che ci casca è defraudato perchè a quel punto viene pagato una tantum e il resto dei soldi li guadagnerà a vita il produttore, che ha pieno potere sull’opera.

Molti produttori si tutelano pretendendo una liberatoria prima che l’autore presenti i lavori per un’eventuale pubblicazione. Il testo dice più o meno “io (autore) comprendo che ricevete centinaia di lavori al giorno, e se pubblicate qualcosa che assomiglia a quello che vi ho mandato io non significa che avete copiato/utilizzato la mia roba”.
Dal lato dell’autore sembra assurda, ma onestamente se fossi io il producer la utilizzerei perchè, ora come ora, è l’unico modo per evitare di finire in decine se non centinaia di cause legali e chiudere l’azienda.

All’inizio la SIAE forniva essenzialmente il deposito delle opere, a formare una prova di paternità in caso di controversie sul diritto d’autore. Insomma, qualcosa di simile a un brevetto: “l’ho depositato = è mio”. Peccato che un atto notarile sia molto più protettivo a livello legale, e costa molto meno della SIAE, ma nessuno lo dice.

Il produttore deve rientrare le spese prima possibile. Altrimenti l’investimento va in perdita. Per ottenere ciò, ammettendo che abbia investito 100.000 Euro in un videogioco, gli conviene vendere 1000 copie a 100 Euro piuttosto che 10.000 a 10 Euro. A vendere 10.000 copie ci vuole molto più tempo.

Vorrei anche porre in evidenza il fatto che il P2P non permette di calcolare con la precisione necessaria un ritorno di mercato, per esempio sapere quante copie sono state scaricate, in quanto tempo e in quali nazioni. Senza questi dati per una qualsiasi azienda è impossibile decidere se investire ancora o no, ed è a mio parere il maggiore ostacolo nella lotta tra P2P e major.

Cordiali saluti,
Francesca Urbinati

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Pubblicato il
9 apr 2004
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