PA digitale, una strada ancora lunga

PA digitale, una strada ancora lunga

di Ernesto Belisario - Il Ministro Brunetta ha presentato i dati sullo stato di informatizzazione della PA italiana. Le cifre del fallimento delle politiche di e-government, cifre che non potranno essere ignorate
di Ernesto Belisario - Il Ministro Brunetta ha presentato i dati sullo stato di informatizzazione della PA italiana. Le cifre del fallimento delle politiche di e-government, cifre che non potranno essere ignorate

Il 7 ottobre scorso, nell’ambito dell’ indagine conoscitiva sull’informatizzazione delle Pubbliche Amministrazioni , la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha sentito il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione , On. Renato Brunetta, il quale ha illustrato i dati in suo possesso sullo stato di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana ed ha esposto le iniziative già intraprese dal Governo.

Leggendo i dati del rapporto ho particolarmente apprezzato il coraggio del Ministro: le cifre contenute nell’indagine conoscitiva dimostrano, ove ve ne fosse il bisogno, il fallimento delle politiche di e-gov fin qui condotte nel nostro Paese. Sicuramente la responsabilità della situazione attuale non è riconducibile al Ministro Brunetta (in carica da poco più di un anno), ma l’analisi impietosa impone l’adozione tempestiva di azioni politiche e legislative che superino i vecchi errori nell’ottica di una efficace strategia di lungo periodo.

Mancato decollo dell’e-government: i falsi miti
Innanzitutto, il rapporto è particolarmente utile perché contribuisce a sfatare alcuni diffusi luoghi comuni sulle ragioni della scarsa digitalizzazione della PA italiana, a partire da quello secondo cui la dotazione tecnologica degli uffici pubblici sarebbe carente. Ebbene, dall’indagine emerge invece che quasi tutti i dipendenti pubblici dispongono di un personal computer sia pur con qualche differenza tra le Amministrazioni centrali (96%) e quelle dei piccoli Comuni (91,5%) e la gran parte di essi ha accesso ad Internet (l’80% nelle PA centrali e il 70,7% nei piccoli Comuni).
Molto interessante anche il dato relativo agli indirizzi di posta elettronica: tutte le Amministrazioni centrali e la quasi totalità di quelle locali (il 98,5%) hanno un indirizzo email; analogo è poi il dato relativo alle Amministrazioni dotate di un sito Web istituzionale (100% PA centrali, 78,8% PA locali).

Non è perciò la dotazione tecnologica il problema che impedisce alle Amministrazioni italiane di sfruttare tutte le potenzialità della rivoluzione informatica e, contrariamente a quello che molti credono, non è neanche un problema di risorse finanziarie a disposizione. Basti pensare, infatti, che – in base ai dati forniti dal Ministro – nel 2008 il nostro Paese ha speso per l’acquisto di beni e servizi informatici circa 3,1 miliardi di euro, più del doppio del budget per l’organizzazione delle Olimpiadi tenutesi a Pechino in quello stesso anno.
Quindi, sicuramente ci sono degli sprechi e in alcuni casi i soldi non arrivano lì dove vi è davvero bisogno, ma il livello assolutamente insufficiente di innovazione del settore pubblico non è un problema di scarse risorse.

L’innovazione è rimasta sulla carta
Qual è il problema allora? Perché la PA digitale non è ancora una realtà?
Gli altri dati presenti nel rapporto reso disponibile da Brunetta ci aiutano ad individuare alcune ragioni.
Solo l’85% delle PA centrali (e l’80% di quelle locali) ha adottato sistemi informatici per la gestione del protocollo; si tratta di un numero assolutamente insufficiente in quanto la gestione digitalizzata dei documenti è condizione necessaria (meglio, essenziale) per l’informatizzazione dell’attività amministrativa (con le note conseguenze di riduzione dei costi ed aumento dell’efficienza) e la fornitura di servizi online a cittadini e imprese.

Le cifre del rapporto confermano poi il ritardo delle PA locali (specialmente di quelle meridionali) rispetto a quelle centrali, il fallimento della Carta di Identità Elettronica (per il quale è prevista una riprogettazione nei primi mesi del 2010) e una scarsissima diffusione delle soluzioni open source (solo nel 35% delle Amministrazioni locali).
Non è più confortante il dato relativo alla dotazione di Posta Elettronica Certificata che, piaccia o no, diventerà nei prossimi mesi la modalità di comunicazione scelta dal legislatore per i rapporti PA-cittadino; solo il 34% delle PA locali hanno un indirizzo PEC e quindi, ad oggi, comunicare via Posta Elettronica Certificata sarebbe praticamente impossibile.
Non stupisce poi il dato relativo alle Amministrazioni che consentono l’effettuazione di pagamenti online: solo il 31,8% delle Regioni, il 9,4% dei Comuni e il 2% delle Province.
La conseguenza è che, nel confronto con gli altri Paesi dell’Unione Europea, l’Italia non esce bene, collocandosi al 23° posto (su 27) nella speciale classifica relativa alla fornitura di servizi ai cittadini.

Appare quindi evidente che le principali ragioni del fallimento dell’e-gov italiano vadano ricercate nella mancata adozione di modelli di innovazione che siano in grado di far cogliere appieno i vantaggi derivanti dall’uso delle nuove tecnologie oltre che nel mancato rispetto delle norme dettate in materia (a cominciare dal Codice dell’Amministrazione Digitale , D. Lgs. n. 82/2005).

Non si può fare finta di niente
Per le Amministrazioni il protocollo informatico è un obbligo dal 1° gennaio 2004, la PEC dal 1° gennaio 2006 e i pagamenti elettronici dal 30 giugno 2007; di conseguenza, i dati illustrati dimostrano come un rilevante numero di Amministrazioni non abbia ottemperato agli obblighi imposti dalle leggi vigenti. Si tratta di un inadempimento gravemente colpevole e sono sicuro che il Ministro Brunetta si attiverà tempestivamente per l’adozione dei provvedimenti (anche sanzionatori) di sua competenza.

Sarebbe poi auspicabile che l’indagine venga condotta periodicamente ma che, oltre alla dotazione informatica (colmando alcune lacune, come ad esempio quella relativa alla diffusione della firma digitale nella PA), oggetto del monitoraggio sia anche l’uso che gli Enti fanno delle tecnologie (ad esempio, in che misura usano realmente l’email) e il livello di applicazione delle norme dell’Amministrazione Digitale.
Ciò al fine di avere utili informazioni per la predisposizione, e l’attuazione, di una efficace strategia di lungo periodo.

È per questo che c’è da augurarsi che questi dati vengano utilizzati tanto a supporto dell’attività normativa (nella imminente modifica del Codice dell’Amministrazione Digitale ) quanto di quella amministrativa (come l’elaborazione della versione 2.0 del piano di e-government 2012 annunciata dal Ministro Brunetta nel corso dell’audizione in Commissione).

Ernesto Belisario
Il blog di E.B.
www.politicheinnovazione.eu

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Pubblicato il 4 nov 2009
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