Ci sono nomi famosi tra i siti colpiti nelle scorse ore da una corposa decurtazione di PageRank (in gergo, PR): tra gli altri figurano Washington Post , Forbes , Engadget , Problogger . Tutti in poche ore hanno visto calare di uno o, più spesso, di due punti la propria valutazione nell’indice di rilevanza del motore targato Mountain View. Il perché, almeno al momento, resta ancora tutto da chiarire .
Nessuno conosce esattamente il metodo con il quale viene calcolato il PageRank: le approssimazioni migliori parlano di una sommatoria tra i link provenienti da altri siti ritenuti autorevoli e i link in generale, ma anche altri fattori entrerebbero nell’equazione. Sta di fatto che una vera e propria scienza empirica , fatta di strategie di link incrociati e scambi di citazioni, è fiorita attorno a questo valore.
In ballo ci sono molte questioni : un PR elevato permette un buon posizionamento nei ranking di ricerca. Comparire in prima pagina o, meglio ancora, tra i primi 3 o 4 risultati per una data chiave ( keyword ), può premiare economicamente aziende e privati. Un sito con un PageRank 5 venderà i propri spazi pubblicitari ad un costo maggiore di uno con PR 3 o 4. Perdere un punto in classifica può costare molti soldi .
Sotto accusa, in un primo momento, sono finite le link-farm . Per promuovere artificiosamente un sito in classifica, i più disinibiti esperti SEO propongono l’acquisto di pacchetti di link testuali in siti con PageRank autorevole. Molti dei website penalizzati sembrerebbero aver fatto ricorso agli stessi canali per la compravendita dei cosiddetti textlink ads . Ma non si tratta di un aspetto che accomuna tutti.
Poi è stata la volta dei blog . A quanto si dice, l’abitudine dei loro proprietari di citarsi a vicenda, magari inserendo decine di siti di amici e conoscenti nel proprio elenco dei collegamenti consigliati ( blogroll ), costituirebbe un ostacolo alla corretta indicizzazione dei contenuti. Senza contare il rischio che una certa autoreferenzialità possa indebolire la qualità delle ricerche .
Gli esperti, comunque, invitano alla calma: perdere un po’ di PageRank non è poi la fine del mondo . Anzi, l’occasione potrebbe essere propizia per dare una scossa a tutti coloro i quali ritenevano i blog e, più in generale, il web 2.0 uno strumento per fare soldi facili in poco tempo . Bisogna diversificare il proprio business, senza affidarsi ciecamente alla blogosfera.
Senza contare che, secondo molti , usare il PageRank è il modo peggiore per stilare delle classifiche. Per il momento, comunque, la perdita di qualche punto di PR non pare abbia modificato il ranking dei siti declassati nei risultati di ricerca: ci vorrà del tempo per compiere valutazioni sull’impatto che queste modifiche avranno sul posizionamento tra i risultati e sul traffico.
La speranza di molti è che si smetta di stare dietro le classifiche e ci si ricominci a preoccupare dei contenuti.
I segnali che l’algoritmo di classificazione di Google stesse cambiando c’erano tutti, già da diverso tempo: la revisione del PageRank potrebbe essere il primo passo per ridefinire il criterio di ranking per la ricerca. A Mountain View, per il momento, bocche cucite.
Qualcuno , però, pensa già a come sopravvivere senza Google . Punto Informatico ha sentito Robin Good, fondatore di Master New Media , che già da agosto aveva incontrato qualche difficoltà con il posizionamento sulle pagine di Google.
Punto Informatico: Ma dopo tutto quello che è successo, dove andrà a finire il Pagerank? Da domani avrà ancora senso utilizzarlo per indicare la rilevanza di un sito?
Robin Good: Pagerank non valeva niente prima e adesso è stato ufficializzato che non ha più nessun valore. Se c’era qualcuno che utilizzava PR ieri per stilare delle classifiche sicuramente distorceva la realtà di quello che poi mostrava a chi le leggeva.
PI: È la fine del marketing fatto col Pagerank e con le linkfarm?
RG: Mi piacerebbe pensare che sia esattamente così. Io sono il primo ad aver rinunciato ad una bella somma di denaro (attraverso i textlink ads, ndR), ma devo dire che io, già all’inizio, prima che scoppiassero tutte queste cose, mi ero posto il problema e l’avevo posto ai miei collaboratori: ma che senso ha prendere questi soldi da un sistema che, sì ci dà da vivere, ma che noi allo stesso tempo ci facciamo pagare per imbrogliare? A me non sembra molto corretto.
PI: Ma si può sopravvivere senza Google?
RG: Io credo sicuramente di sì. Credo che però si debba costruire strategicamente questo percorso, non è che ci puoi arrivare per caso. Ci puoi arrivare solo se semini in quella direzione: io ho seminato completamente nella direzione opposta, quindi sono molto legato a Google e ai suoi risultati. Per portarmi in una direzione diversa ci vuole del tempo.
PI: Questa ondata di declassamento è finita, o dovremo aspettarci altri aggiustamenti?
RG: Sono curioso di vedere quello che succede oggi (ieri, ndR), perché sul mio counter che ho messo sul sito vedo un Pagerank 6: ufficialmente ieri sono sceso a 4, e non so più dove guardare per capire quale sia il valore giusto. Mi piacerebbe pensare che la storia non sia finita, e vedere se ci sarà un altro round di declassamento che andrà ad abbracciare quei siti che sono a livello inferiore. Potrebbe esserci, sono curioso.
PI: Cosa dire a chi ha subito o subirà un declassamento, qual è la direzione da prendere da domani?
RG: Di smetterla di vivere in questo clima di paranoia da classifica, di buttar via questa molto italica preoccupazione di ottenere link in continuazione dagli amici, dai conoscenti, dai blogger, per potersi rendere più visibili.
PI: Ma non accade anche altrove?
RG: Certo, esiste anche oltreoceano, ma in Italia è particolarmente sentito. In maniera negativa secondo me, è una interpretazione molto provinciale dell’uso del link: invece di aiutarmi a scoprire nuove cose e approfondire certi argomenti, mi rimandi solo a “Paolo ha detto questo, Marco ha detto quell’altro” per cercare di tenere vivo il linking col tuo micronetwork. Credo sia un peccato.
PI: Dunque?
RG: Ognuno si dovrebbe interrogare, e magari essere un po’ meno superficiale. Non gridare “allarme allarme” perché ti hanno tolto una stellina dalla divisa: in fondo, se vuoi andare a combattere, il fucile ce l’hai ancora uguale a prima.
PI: Insomma, non c’è una classifica che piaccia a Robin Good?
RG: No, devo dire che le classifiche in generale mi stanno un po’ antipatiche.
a cura di Luca Annunziata