Pirateria/ Come fu che la EFF scomunicò SDMI

Pirateria/ Come fu che la EFF scomunicò SDMI

di Lamberto Assenti. Forrester Research, Napster, Open source e ora anche EFF: la Rete si rivolta all'industria musicale dell'iper-business a tutti i costi. I discografici oggi possono seguire una sola strada. O non ne sentiremo più parlare
di Lamberto Assenti. Forrester Research, Napster, Open source e ora anche EFF: la Rete si rivolta all'industria musicale dell'iper-business a tutti i costi. I discografici oggi possono seguire una sola strada. O non ne sentiremo più parlare


Roma – “La Electronic Frontier Foundation si appella alla comunità Internet affinché boicotti questo concorso e si astenga dall’aiutare l’industria discografica nel perfezionamento di sistemi che minano i nostri diritti all’uso personale della musica”: così inizia la scomunica che la prestigiosa associazione EFF, che si batte da sempre per i diritti della comunicazione digitale, ha lanciato contro le case della musica industriale.

Come si ricorderà, le industrie che aderiscono alla Secure Digital Music Initiative (SDMI), già bacchettate nelle scorse ore da Forrester Research (secondo cui stanno sbagliando tutto), hanno lanciato un cracker-contest , un concorsone con 10mila dollari in palio al primo che riuscirà a violare le protezioni antipirateria ideate dalla SDMI stessa per la musica digitale. L’iniziativa, chiamata HackSDMI, ha immediatamente scalato la ribalta dei media. Una cosa così finisce in prima pagina.

I 10mila non sono però pensati per compensare la “bravura” di chi cracca la tecnologia SDMI quanto invece servono all’SDMI per acquistare tutti i diritti sul metodo o sul software utilizzato per il crack. Tanto che per partecipare l’aspirante cracker deve firmare un accordo secondo cui nulla potrà dire in futuro su quanto ha combinato per craccare il sistema. Inoltre dovrà sottoscrivere di essere effettivamente l’autore dell’attacco e di non aver agito per conto terzi. “Naturalmente”, se più persone riescono nel crack allora i 10mila verranno suddivisi in parti uguali…

Per 10mila dollari, dunque, la SDMI intende non solo individuare le falle nel sistema tecnologico pensato per “proteggere” i brani musicali ma anche procurarsi a poco prezzo collaboratori di alto livello “pescati” da un ambiente tradizionalmente ostile, quello degli hacker se non addirittura dei cracker. Un ambiente dal quale, fino ad oggi, sembrano arrivare soltanto reazioni sarcastiche all’iniziativa della SDMI. E ora ci si mette anche la EFF, con una scomunica che rischia di affondare del tutto un “contest” già traballante.

“Noi – scrivono quelli della EFF a proposito del concorsone – mettiamo in discussione le ragioni della SDMI, che da tempo si è interessata ai modi per limitare la possibilità di ascoltare i brani musicali nel formato preferito e nel colpire tutti i tentativi di distribuzione musicale digitale che non fossero compatibili con i propri”.

Il “peso” della EFF sulle innumerevoli realtà che si occupano di libertà digitali nonché su una vasta porzione degli utenti di più vecchia data è enorme. Tanto che questo appello in pochi giorni ha fatto il giro della Rete finendo anche sulla scrivania dei boss della SDMI che, con HackSDMI, possono ora capire di aver lanciato un boomerang, scatenando una reazione a catena che sta coalizzando il fronte avversario. Davanti a sé oggi rischiano di trovare un esercito determinato a combattere le loro iniziative e non più isolati oppositori che, come tali, possono essere ignorati.

La pressione sull’industria discografica è enorme. Gli industriali della RIAA, gli stessi che hanno voluto la SDMI, sono circondati da segnali sempre più pressanti che indicano come la politica fin qui adottata sulla Rete non funziona. Segnali che vanno dalla diffusione pazzesca avuta da Napster alla già citata bacchettata degli esperti di Forrester Research. Dall’ostilità del mondo open source, di quello dei più evoluti modelli di business, alle primarie associazioni che combattono per le libertà digitali.

L’industria discografica ha un solo modo per rispondere. Deve riorganizzarsi, concepire il diritto d’autore in un modo nuovo, immaginare strategie di distribuzione che mirino a soddisfare l’utente digitale anziché limitare le possibilità d’uso. Se non lo fa adesso, che tutta la Rete glielo chiede, è probabile che non lo faccia più. E se non lo fa adesso, è probabile che tra non molti anni non sentiremo più parlare di questa industria. Sinceramente, vista l’arroganza della RIAA, non saprei quale delle due ipotesi preferire.

Lamberto Assenti

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Pubblicato il
22 set 2000
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