Pirateria online: c'è grossa crisi

Pirateria online: c'è grossa crisi

Pare arrivato il tempo in cui i modelli di business fondati sulla proprietà intellettuale vadano rivisti. Chi non si riorganizzerà rischia di cadere su sé stesso e su introiti sempre minori
Pare arrivato il tempo in cui i modelli di business fondati sulla proprietà intellettuale vadano rivisti. Chi non si riorganizzerà rischia di cadere su sé stesso e su introiti sempre minori


Roma – C’è grossa crisi. Ci sono gli industriali del software che spendono vagonate di miliardi per fermare una emorragia di mercato scatenata dalla rete, ovvero il commercio di programmi illegalmente copiati. Ci sono gli industriali del cinema, che non hanno idea di come bloccare lo sviluppo e la diffusione di sistemi che bypassano le protezioni antipirateria dei dividì. Ci sono gli industriali della musica, apparentemente i più colpiti dalla pirateria che prospera sulla rete. C’è grossa crisi.

Di fondo c’è una crisi di proporzioni vaste quanto internet per i modelli di business basati sulla proprietà intellettuale. C’è da chiedersi se non sia ora di rivederli.

Prendiamo un brano musicale. Sulla carta, e nelle utopiche speranze dei discografici, il brano viene realizzato da uno o più artisti che hanno un contratto con l’industria di produzione che si occupa poi di diffonderlo, di distribuirlo. Questo brano viene venduto su vinile o Cd o altri supporti e, poiché c’è internet, anche sulla rete, sotto forma di streaming (ascolto) o downloading (scaricamento su disco del file). In questo quadro il file musicale produce quindi una revenue, indipendentemente da come e dove venga distribuito.

La falla sta nel fatto che grazie a newsgroup e mailing list, chat e siti web ma soprattutto a programmini-programmoni come Napster o Gnutella , gli utenti della rete scambiano tra loro in quantità decisamente industriali file di ogni genere. Scambi che l’industria non può che considerare illegali, perché consentono a più persone di fruire di un bene che non hanno acquistato singolarmente. Si rompe, in altre parole, la catena della redditività di un brano musicale.

La reazione, scontata e inevitabile, delle case discografiche è fino ad oggi quella dei tribunali. A colpi di denunce e di avvocati, le grandi cercano di “intimorire” gli utenti, diffidando dall’uso di copie pirata, ma soprattutto si scagliano contro i nuovi meccanismi di distribuzione “illegale”, come Napster, appunto, o Gnutella.

L’obiettivo di questa campagne, però, è sbiadito. Chi le organizza e ci investe sopra miliardate in avvocati non ha probabilmente una grande conoscenza delle cose della rete. Napster, infatti, ma ancora di più il decentralizzato Gnutella, ha il grande merito di mettere in evidenza come lo scambio di informazione, anche musicale perché no?, sulla rete viaggia al di là dei controlli e degli schemi del “mondo fisico”, quello dal quale i legali dell’industria provengono e al quale inevitabilmente finiscono per rifarsi. Dunque è sbiadito, perché l’obiettivo è quello di eliminare la pirateria.

Esaminiamo questo proposito. Eliminare la pirateria. Al di là di qualsiasi opinione si possa avere sull’industria o sulla contraffazione, chiunque conosca la rete, o sia addentro ai nuovi modelli di rete emergenti che sfuggono a qualsiasi riferimento del mondo fisico, sa che questo obiettivo è utopistico. Non solo, sa anche che la pirateria continuerà a crescere. Questo significa non solo che i mezzi utilizzati per combatterla sono inefficienti ma anche, e soprattutto, che va considerato in modo nuovo l’intero ambito della redditività di tutto ciò che va dal diritto d’autore al copyright.

In questi anni, di tentativi legislativi che, soprattutto negli USA, hanno preso di mira pirati e fruitori di pirateria in tutti i campi, dalla musica, appunto, al software, se ne sono contati a bizzeffe. Ma la rete sfugge, appaiono di continuo nuovi modelli di distribuzione, nuove possibilità di incontro. Due amici che un tempo si incontravano in piazza e si scambiavano LP e cassette, oggi si incontrano in rete e si scambiano, al di fuori di qualsiasi controllo, file musicali in formato digitale. Di più, oggi si scambiano tonnellate di file con perfetti sconosciuti, gente che risiede negli angoli più remoti del mondo, individui che condividono informazioni definite illegali e che sono sottoposti ciascuno nel proprio paese a leggi, trattamenti e controlli diversi.

La lotta alla pirateria, quando si viene alla rete, perde su tutti i fronti da anni. Accadrà lo stesso anche alla cinematografia, è solo una questione di banda e di tecnologia, di effettiva praticità nello scaricare file di grandi dimensioni, o piccoli file ipercompressi di qualità dividì.

Una mente pragmatica a fronte di un nemico che non può battere va alla ricerca di compromessi. Occorre rivedere i modelli di business, dare agli “originali” un valore aggiunto e, soprattutto, abbassarne il prezzo in modo del tutto significativo. Occorre che tutta l’industria ridimensioni le proprie attese di vendita. Il rischio, altrimenti, è di trovarsi improvvisamente senza solidità sotto i piedi. La rete, che lo si voglia o meno, continua a crescere. Non si può evitare di fare i conti con nuovi modelli.

Ma le menti pragmatiche non sono poi così diffuse in certi settori. E non è improbabile che in un tempo non lunghissimo, magari soltanto qualche anno, assisteremo ad una “caduta degli dei”, allo sfascio di quelli che sempre più appaiono come obsoleti carrozzoni: le vecchie buone e inadatte case di produzione.

Paolo De Andreis

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Pubblicato il
14 apr 2000
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