La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito con la sentenza di fine aprile che i “pirati online” possono essere identificati a partire dall’indirizzo IP. In caso di violazione del diritto d’autore non esiste quindi lo scudo della privacy. Devono essere però rispettati alcuni requisiti per evitare l’eccessiva raccolta di dati personali.
Identificazione tramite indirizzo IP
L’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) è stato sollecitato dal Consiglio di Stato francese in seguito al ricorso presentato da quattro associazioni per la tutela dei diritti e delle libertà su Internet. Queste ultime hanno chiesto l’annullamento di un decreto del 2010 che prevede la raccolta degli indirizzi IP usati per violare il copyright e la successiva correlazione tra indirizzo IP e identità dell’utente.
In pratica, la legge francese consente ai titolari dei diritti d’autore di registrare gli indirizzi IP usati per il download pirata di film, musica, libri e altri contenuti. La Hadopi riceve gli indirizzi IP e chiede agli ISP di fornire l’identità dell’utente. Le associazioni ritengono che si tratti di una violazione della direttiva ePrivacy.
La CGUE ha stabilito che è possibile la raccolta e conservazione degli indirizzi IP, se tale attività è necessario per proteggere il diritto d’autore. Inoltre, l’autorità nazionale competente può accedere ai corrispondenti dati dell’utente sospettato di aver commesso un reato. Gli indirizzi IP non possono però essere utilizzati per fini diversi, come l’accesso a dati sulla vita privata o il tracciamento della navigazione.
La sentenza è vincolante per tutti gli Stati membri. È pertanto consentita l’identificazione degli utenti che scaricano opere protette dal diritto d’autore a partire dall’indirizzo IP. Tuttavia è sufficiente usare una VPN per nascondere il vero indirizzo IP, quindi la ricerca dei “pirati online” potrebbe diventare molto dispendiosa.