Quanto costa tutelare i propri dati?

Quanto costa tutelare i propri dati?

Le privacy policy sono lunghe, complesse, estenuanti da leggere. Se decidesse di studiarsele tutte, il netizen impiegherebbe il 10 per cento del tempo che trascorre online a informarsi su come vengono trattati i propri dati
Le privacy policy sono lunghe, complesse, estenuanti da leggere. Se decidesse di studiarsele tutte, il netizen impiegherebbe il 10 per cento del tempo che trascorre online a informarsi su come vengono trattati i propri dati

Assicurarsi la consapevolezza di come verranno trattati i propri dati personali online costa ore di impegno: confrontarsi con le policy sulla privacy dei siti in cui ci si imbatte, sbrogliare il legalese dei documenti fitti fitti da leggere a schermo è impresa troppo ardua per un cittadino della rete che possa contare su una giornata che consta di 24 ore.

È per questo motivo che le politiche sulla privacy restano neglette, link confinati a fondo pagina: a tracciare una stima dei costi cognitivi ed economici che un cittadino della rete deve sostenere per affrontare la lettura delle politiche dei siti web sono due ricercatrici della Carnegie Mellon University. Lorrie Faith Cranor e Aleecia M. McDonald , in uno studio condotto combinando dati Nielsen sulla frequentazione del web degli americani, le privacy policy di 75 siti popolari, e i tempi di lettura di 93 persone, hanno stimato che informarsi su come i servizi in rete trattano i dati personali risulta un’impresa che può durare dalle 16 alle 444 ore all’anno .

Evidente, spiegano le due ricercatrici, che “se le persone ritengono di trarre meno beneficio dal leggere le privacy policy di quanto costi loro leggerle, è logico che scelgano di non leggere le policy sulla privacy”. I netizen devono infatti scontrarsi con documenti che oscillano dalle 144 alle 7669 parole, traducibili in circa 15 pagine di testo: un testo che in media consta di 2500 parole che spaziano fra raccomandazioni e cookie, logging dei dati e dichiarazioni altisonanti. Stimando in 250 parole al minuto la velocità di lettura, il tempo impiegato in media per affrontare un documento di questo tipo si aggira intorno ai 10 minuti.

Ma le ricercatrici hanno fatto di più : mettendo alla prova 93 persone, sottoponendole ad un documento di 934 parole, le hanno interrogate sulle nozioni che si sono impresse nella loro memoria. Alcuni dei soggetti hanno aggredito il testo in meno di 60 secondi, c’è chi l’ha scandagliato in 42 minuti, ma la maggior parte dei soggetti vi ha investito circa 3 minuti. Ridimensionando il testo e adeguandolo agli standard riscontrati presso i siti più visitati, i minuti di lettura aumentano: se un netizen ordinario visita in media 253 siti web l’anno , alla Carnegie Mellon hanno stimato che tutelare la propria privacy costa ai cittadini della rete circa 42 ore l’anno . Vale a dire circa sette minuti al giorno, tempi che, spiegano le ricercatrici, equivalgono al 10 per cento del tempo che i netizen statunitensi trascorrono online.

Nello studio si è inoltre attribuito un valore in denaro al tempo speso dagli utenti nella lettura. Esistono studi economici che tentano di tradurre in moneta sonante il valore del tempo considerato come esperienza e come occasione di guadagno. Le due ricercatrici hanno stimato che se i cittadini statunitensi leggessero ogni privacy policy in cui si imbattono, si troverebbero a rubare tempo alle proprie attività lavorative e ai propri divertimenti , che fruttano guadagni rispettivamente monetari e esperienziali. Convertito in denaro il tempo impiegato nella lettura, un anno di privacy policy costa al cittadino statunitense 618 dollari e costa all’intera società civile connessa degli Stati Uniti 136 miliardi di dollari.

“Quello che abbiamo osservato non accadrà – precisa però Cranor – non crediamo assolutamente che una persona sia disposta a trascorrere così tanto tempo nel leggere politiche sulla privacy: ogni persona che si sia ritagliata il tempo per leggerne una, ha idea di quanto tempo richieda, e così si dice mai più “. Le due ricercatrici sostengono che le dichiarazioni con cui le aziende si rivolgono ai propri utenti siano di fondamentale importanza, che non siano semplicemente questione di brand . Non per questo, però, bisogna considerare negligenti i cittadini della rete: a sbagliare, spiegano dalla Carnegie Mellon University, sono aziende che non sanno semplificare , che invitano gli utenti a leggere pagine su pagine di informazioni sulla privacy o sulle modalità di utilizzo di un sevizio.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
10 ott 2008
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