Quantum computer, il MIT gioca con gli atomi

Quantum computer, il MIT gioca con gli atomi

Gli esperti dell'istituto americano dicono di aver sviluppato un computer quantistico infinitesimale, capace di scomporre un numero interno nei suoi fattori. In futuro potrebbe "crackare" i sistemi crittografici più avanzati.
Gli esperti dell'istituto americano dicono di aver sviluppato un computer quantistico infinitesimale, capace di scomporre un numero interno nei suoi fattori. In futuro potrebbe "crackare" i sistemi crittografici più avanzati.

Mentre ancora si discute sul valore scientifico dei presunti computer quantistici già in circolazione, al MIT hanno ideato e (a quanto pare) sviluppato un sistema a base di qubit in grado di eseguire una semplice operazione di fattorizzazione su un numero a doppia cifra. È solo l’inizio, promettono i ricercatori , di qualcosa in grado di rivoluzionare l’informatica e l’uso applicato dei sistemi crittografici più moderni.

Il design di computer quantistico del MIT prevede l’impiego di 5 qubit, ciascuno rappresentato da un singolo atomo e “intrappolato” in una gabbia di ioni: i qubit sono in grado di rappresentare due stati differenti (“1” o “0” secondo la numerazione binaria) allo stesso tempo, e nel progetto del MIT quattro qubit servono a eseguire i calcoli mentre il quinto può archiviare, trasmettere, estrarre e riciclare il risultato.

Il quantum computer realizzato dagli esperti statunitensi è stato in grado di scomporre il numero 15 nei suoi fattori primi (3 e 5), e la fattorizzazione è proprio uno dei meccanismi adoperati dagli standard crittografici per rendere impossibile la decrittazione dei dati con l’impiego delle tradizionali infrastrutture informatiche a base di bit.

Qualora gli esperti del MIT riuscissero a provare di poter scalare verso l’alto il progetto di computer quantistico con l’aggiunta di un maggior numero di qubit, la fattorizzazione non rappresenterebbe più un problema e gli schemi crittografici perderebbero immediatamente di efficacia. Tutto ovviamente in teoria.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
9 mar 2016
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