Quei terroristi che han casa su Internet

Quei terroristi che han casa su Internet

Creano chat, infilano documenti di istruzione e propaganda su server non protetti, sfruttano i nuovi sistemi di mapping per preparare gli attentati. La soluzione? Secondo gli USA è la controinformazione
Creano chat, infilano documenti di istruzione e propaganda su server non protetti, sfruttano i nuovi sistemi di mapping per preparare gli attentati. La soluzione? Secondo gli USA è la controinformazione

Non c’è nulla di veramente nuovo nel rapporto richiesto dal Congresso americano sull’uso di Internet da parte delle organizzazioni terroristiche, in particolare Al-Qaida. È anzi l’emblema della sostanziale impotenza delle autorità, e non solo di quelle americane, nel frenare l’uso della rete per la comunicazione tra terroristi che si trovano sparsi in molti diversi paesi. Una piccola ma significativa novità, forse, sta nel fatto che per combattere tutto questo il rapporto voluto dall’Homeland Security parla di controinformazione .

Il vero cruccio della politica statunitense alle prese col terrorismo internazionale è che Internet venga utilizzata non solo per mantenere ed alimentare le diverse organizzazioni del terrore ma anche per reclutare nuovi adepti . Tutto meno che una novità, sono anni che ciò viene denunciato, ma il rapporto si spinge a sostenere che negli ultimi anni questo genere di operazioni hanno conosciuto una sorta di boom.

E descrive persino le tecniche più utilizzate. Come il parasiting , tecnica che permette di divulgare materiale scottante, come i temutissimi “manuali di addestramento”, infilando i file di soppiatto su server che ospitano siti del tutto legittimi e che sono evidentemente “bucabili”. Nulla di nuovo sotto il sole, sono anni che cracker di ogni genere utilizzano questi sistemi, c’è persino chi ha creato delle chat sui server NASA , ma ora la cosa arriva all’attenzione del Congresso per le conseguenze che si teme possa avere la divulgazione di certo materiale.

Ma quei documenti bisogna anche sapere dove andarli a prendere. E qui intervengono altre strategie individuate dal rapporto, ad esempio l’utilizzo di sistemi di webmail nei quali vengono scritte determinate istruzioni in messaggi che non vengono spediti ma semplicemente salvati. A quel punto chiunque abbia l’accesso a quell’account di posta può fruirne liberamente, e scaricare quel che crede.

Lo sviluppo dei sistemi di mapping e le molte informazioni pubbliche accessibili online sono anche una temuta conseguenza della società dell’informazione, visto che il terrorismo organizzato ne farebbe uso per scegliere i propri target . Così come ricorrerebbe diffusamente alle chat per tentare di evitare di essere rintracciato.

Esportazione del terrore? Tutto questo, comprese le attività di raccolta fondi via Internet, secondo il rapporto che è stato consegnato ieri al Congresso si traduce in una diffusione dell’ideologia terroristica : la possibilità che utenti di mezzo mondo possano cedere all’appeal della violenza da sempre scuote le coscienze dei parlamentari statunitensi. E il rapporto sottolinea fatti ed eventi che sarebbero collegati a questa propaganda , come i sanguinosi attentati ferroviari a Madrid nel marzo del 2004: sebbene non commessi da Al-Qaida, sarebbero stati il frutto di quel genere di “ideologia” (nella foto qui sopra una rivendicazione televisiva di un membro americano dell’organizzazione di Bin Laden).

Con uno scenario del genere dipinto in un rapporto pesante, il Congresso dovrà individuare nuove misure per combattere le attività del terrore online. Ciò che fa ben sperare è che per la prima volta in modo chiaro, come accennato, non si parla di controlli a tappeto o attività di monitoraggio ancor più penetranti delle attuali, ma di controinformazione . Gli esperti del rapporto si dicono certi che sia necessario informare in modo diretto e senza filtri il pubblico in rete, perché sappia fino in fondo cosa significa il terrorismo. Arrivando a consigliare la diffusione di filmati sulle vittime degli attentati senza censure. “Per quanto possano essere sgradevoli – sostiene il rapporto – la forza dell’impatto visivo è enorme”.

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Pubblicato il
4 mag 2007
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