RANDOM 007/Cyber travet

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I concorsi pubblici adottano l'informatica per legge, gli stanziamenti aumentano. Ma siamo sicuri che la direzione della Cosa pubblica verso la tecnologia porti ad un incontro tra l'una e l'altra?
I concorsi pubblici adottano l'informatica per legge, gli stanziamenti aumentano. Ma siamo sicuri che la direzione della Cosa pubblica verso la tecnologia porti ad un incontro tra l'una e l'altra?


Web (internet) – Il rapporto tra la Pubblica Amministrazione italiana e le nuove tecnologie si arricchisce ogni giorno di novità, come si può rilevare da una notizia battuta recentemente dall’ANSA e ripresa un po ‘ dovunque secondo la quale dal 1 gennaio di quest’anno è obbligatoria, per tutti i concorsi pubblici, una prova di “informatica”, vale a dire che l’aspirante impiegato dovrà dimostrare di essere in grado di utilizzare un PC e di sapere anche come muoversi in Rete.

Dopo aver resistito (a quanto pare con scarso successo) al temuto crash di fine 1999, il pubblico impiego sta continuando il suo viaggio a tappe forzate verso una informatizzazione che è destinata ad investire la macchina burocratica a tutti i livelli: dall’archiviazione elettronica dei documenti alla firma digitale, dal telelavoro alla possibilità per i cittadini di accedere via Internet a sempre più informazioni e servizi; nonostante tutti questi progetti siano in ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista, sembra proprio che tutto vada nella direzione giusta.

E invece no. Verso la fine dello scorso anno il Direttore Generale del Comune di Torino ha diramato un ordine di servizio nel quale si avvertono i dipendenti che è vietato adoperare Internet in modo “improprio”, vale adire per motivi non strettamente legati al proprio lavoro. Non è certo la prima volta che accade una cosa del genere, già in passato si erano lette in Rete segnalazioni di provvedimenti presi a carico di impiegati sorpresi a visitare siti considerati indecenti o intercettazioni di mail compromettenti da parte di controllori troppo zelanti.

Ma anche questa non è una novità; infatti già nella lontana estate del 1994, due impiegati di una nota ditta di abbigliamento intimo vennero licenziati con l’accusa di aver utilizzato la posta elettronica interna per scambiarsi comunicazioni non riguardanti il lavoro e il drastico provvedimento venne ritirato solo dopo uno sciopero di protesta di tutti i dipendenti.

Visto che gli uffici delle amministrazioni pubbliche sono ancora in buona parte scollegati dalla Rete E’ facile prevedere che entro poco tempo episodi del genere rischiano di moltiplicarsi finchE’ qualche bella testa pensante della burosaurocrazia deciderA’ di emanare qualche decreto legge che regolamenti l’uso del pc e della comunicazione elettronica all’interno degli uffici pubblici. Ed allora i problemi aumenteranno di certo in modo esponenziale, anche perché iniziative del genere di quella torinese derivano sicuramente anche da una conoscenza del funzionamento dei computer e della Rete decisamente superficiale, a meno di non voler pensare solo ad un comportamento dettato dalla malafede.

Se, per motivi di lavoro, sto partecipando ad una riunione, scrivendo una lettera, telefonando o preparando una relazione, approfittando del fatto che i computer possono fare anche piU’ di una cosa contemporaneamente ed anche in mia assenza, nello stesso momento posso scaricare via ftp una tonnellata di files, prelevare la posta elettronica dai miei duemila account, catturare interi siti web da leggere off-line, e via dicendo. Mentre, se sto aspettando che il mio database venga stampato, posso dare un’occhiata alla posta elettronica, sbirciare i messaggi su un newsgroup o fare una ricerca sul web.

Nonostante quello che si può credere, esistono già degli strumenti legislativi che impediscono ad un qualsiasi capo ufficio in vena di protagonismo di mettere il naso dove non dovrebbe: lo Statuto dei Lavoratori, per esempio, vieta espressamente di utilizzare apparati tecnologici per il controllo dei lavoratori. A dire il vero al tempo della stesura della legge si pensava alle telecamere e non ai computer, ma il principio è valido lo stesso: un conto è difendere il computer centrale da intrusioni o tentativi di distruzione dei dati da parte di malintenzionati; un altro è costringere il sistemista di turno a monitorare il comportamento degli impiegati davanti alla tastiera, anche perché non si può (quasi) mai essere ragionevolmente sicuri non solo di chi sia fisicamente davanti al monitor ma anche di chi ha creato un file o scritto un mail.

Infine spiare – illegalmente – la corrispondenza privata, vale a dire, nel nostro caso, i messaggi di posta elettronica in partenza ed in arrivo, è una attività espressamente vietata dalle leggi vigenti, sia che si tratti delle mail di cittadini qualsiasi che di quelle dei propri dipendenti.

Il timore reale è quello che la tanto pubblicizzata innovazione tecnologica della macchina amministrativa dello Stato si riveli in pratica solo un enorme bluff e che alla fine ci si preoccupi più dei cinque minuti che un dipendente dedica alla posta elettronica, corrispondenti alla battuta scambiata col collega della scrivania accanto, che a rendere più utili ai cittadini i miliardi che si spendono e che si spenderanno in nuove tecnologie.

Giuseppe

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Pubblicato il
14 gen 2000
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