Se il motore di ricerca offende

Se il motore di ricerca offende

Si è cercata su Yahoo, ha trovato il proprio nome associato a siti per soli adulti. Ritiene che il motore di ricerca abbia infangato la propria immagine
Si è cercata su Yahoo, ha trovato il proprio nome associato a siti per soli adulti. Ritiene che il motore di ricerca abbia infangato la propria immagine

Beverly Stayart si dichiara l’unica Beverly Stayart che ha diritto di albergare in rete: ogni risultato dispensato dai motori di ricerca non può che puntare alle manifestazioni della propria persona, alle proprie colte discettazioni a mezzo forum. Ha denunciato Yahoo e altri motori di ricerca: offrono ai cittadini della rete una rappresentazione equivoca della sua immagine.

Beverly Stayart si è cercata online: si è rivolta a Yahoo nel tentativo di monitorare la rappresentazione che i motori di ricerca offrono di lei , per verificare che un cittadino della rete potesse ripercorrere le tracce della sua vita di rete. Una vita di rete fatta di partecipazione: animalista convinta e appassionata di genealogia, i suoi “post accademici” ospitati su siti di terze parti, assicura ai magistrati, hanno generato “quasi 17mila visite nel corso degli ultimi tre anni”. Sulla base di queste manifestazioni online che i motori di ricerca dovrebbero restituire ad ogni parola chiave che risponda al nome della donna, i netizen dovrebbero poter comprendere che è laureata, che è una donna “estremamente professionale e acuta”, che ha “amici notabili e importanti e contatti professionali in tutto il mondo”.

Yahoo, nei mesi scorsi, raffigurava invece Beverly Stayart come una donna di facili costumi : gli stralci di testo con cui Yahoo anticipava i contenuti delle pagine a cui puntavano i link, offrivano ai netizen un’immagine poco edificante della donna, alludendo a risorse adatte ad un solo pubblico adulto; i link snocciolati da Yahoo indirizzavano i netizen verso siti che ospitavano contenuti pornografici, impreziositi da un florilegio di malware e di comunicati pubblicitari tentatori associati al suo nome.

Stayart ha ritenuto che Yahoo la stesse disonorando, infangando la propria reputazione con informazioni fuorvianti e diffamatorie e attribuendole un’identità che non le corrisponde. Un affronto aggravato dal fatto che il nome “Bev Stayart” sia pregno di un “valore commerciale” motivato dal suo “impegno umanitario”, dalla sua immagine “positiva e pura” e dalla “popolarità dei suoi post accademici su Internet”. La donna ha dichiarato di “non aver mai garantito alla difesa alcun permesso, alcuna autorizzazione o alcuna licenza di usare o vendere il diritto di usare il nome Bev Stayart per la promozione di alcun bene o servizio su Internet o su altri media”.

Stayart si è rivolta a Yahoo, ha segnalato quello che riteneva un abuso, ha ricevuto in cambio un semplice ringraziamento per essersi messa in contatto con l’azienda. Ha allora denunciato il motore di ricerca per aver “deliberatamente” violato il suo diritto alla privacy e per aver fatto un “uso non autorizzato” del suo nome, fornendo ai netizen delle rappresentazioni non veritiere e lesive della sua reputazione .

La denuncia è stata appena depositata, il tribunale deve ancora affrontare il caso. Ma in rete si affollano le speculazioni riguardo alla direzione verso cui potrebbe dipanarsi la querelle. Eric Goldman, esperto in materia di diritto e tecnologie, sbaraglia il castello accusatorio montato dalla donna: i precedenti dimostrano che, negli Stati Uniti se non altrove , i motori di ricerca non possano essere ritenuti responsabili dei contenuti ospitati da terze parti.

Ma Beverly Stayart potrebbe aver raggiunto l’obiettivo che si era prefissa: i risultati che offre Yahoo dal momento in cui la denuncia è stata resa pubblica, raffigurano la donna come una persona compita e morigerata. Forse poco avvezza a trattare con le cose della rete.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 19 feb 2009
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