Silicon Valley contro il blocco di Trump

Silicon Valley contro il blocco di Trump

È un coro pressoché unanime quello che si alza dalla California e dalle altre sedi delle grandi aziende ICT. Tutte criticano la decisione del neo-presidente
È un coro pressoché unanime quello che si alza dalla California e dalle altre sedi delle grandi aziende ICT. Tutte criticano la decisione del neo-presidente

Milano – È una levata di scudi compatta , pur tardiva, quella arrivata da parte dei grandi nomi della Silicon Valley contro l’ordine esecutivo di Donald Trump che blocca l’entrata sul suolo degli USA di cittadini provenienti da specifici sette paesi a maggioranza mussulmana. Una decisione che non tiene conto, apparentemente, di visti e permessi già ottenuti e che in certi casi potrebbe portare anche a conseguenze significative per startup e aziende tecnologiche (ma non solo): come ricorda il CEO di Linkedin, Jeff Weiner, il 40 per cento delle company che appartengono alla lista Fortune 500 è stata fondata da un immigrato.

La decisione di Trump di bloccare l’afflusso di visitatori, o di quelli che a tutti gli effetti sono da anni cittadini degli Stati Uniti nei fatti se non nei documenti, è nient’altro che una promessa elettorale che non è priva secondo i detrattori di conflitti di interessi. La motivazione ufficiale per il blocco è legata al terrorismo , ma da più parti si fa notare come ad essere colpiti siano paesi che non hanno avuto particolari rapporti con il terrorismo in terra statunitense, mentre restano fuori i partner commerciali principali degli USA (e delle aziende di Trump). Ma, soprattutto , ci potrebbero essere delle conseguenze pratiche per la vitalità delle imprese USA: altro cavallo di battaglia di Trump, e che fanno largo uso di tecnici e scienziati stranieri per arricchire le proprie fila.

Quello che è successo è che improvvisamente pare che tutti in California si siano resi conto di quanto stava succedendo : Mark Zuckerberg è stato il primo a postare sul proprio social network una critica piuttosto netta, sebbene molto corretta politicamente, del provvedimento del neo-eletto presidente. Poi è stato il turno di Pichai di Google, di Nadella di Microsoft , Sergei Brin si è addirittura unito ai manifestanti all’aeroporto di San Francisco, Reed Hastings di Netflix è stato caustico così come molti altri suoi omologhi di Apple , Dropbox , Twitter . E molti altri .

Da più parti, poi, è arrivato l’appello a donare ad ACLU: la American Civil Liberty Union che tutela i diritti civili è in prima fila nell’assistenza a chi si ritrova improvvisamente apolide, con difficoltà oggettive a rientrare nella nazione che ritiene ormai la propria casa. L’appello ha funzionato, visto che ACLU ha registrato oltre 150mila nuove iscrizioni e ricevuto fondi per 10 milioni di dollari nel solo weekend : Lyft ha promesso 1 milione di dollari all’associazione, anche per cavalcare la polemica sorta attorno alle posizioni di Travis Kalanick che è consigliere di Trump oltre che CEO del principale concorrente Uber. E poi ci sono i fondi stanziati dalle aziende direttamente per i propri dipendenti coinvolti nel blocco dell’immmigrazione, come ancora Linkedin e la stessa Google , con diversi milioni accantonati per coprire costi legali e pratici di questo “imprevisto”.

Comunque la si voglia intepretare , la frizione tra Silicon Volley e la Casa Bianca non è un buon segnale per un presidente che ha detto di puntare tutto sull’industria statunitense e il “made in USA”: la tecnologia e la ricerca scientifica sono una delle risorse più preziose della nazione, e l’inizio di questo incarico di Donald Trump non pare getti una luce particolarmente favorevole per i prossimi quattro anni.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
30 gen 2017
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