Tetris, 25 anni e non sentirli

Tetris, 25 anni e non sentirli

Cinque lustri di conversioni e aggiornamenti, versioni per (quasi) qualsiasi piattaforma. PC, console casalinghe e portatili: i mattoncini sono finiti incastrati ovunque, grazie alla perseveranza del loro creatore
Cinque lustri di conversioni e aggiornamenti, versioni per (quasi) qualsiasi piattaforma. PC, console casalinghe e portatili: i mattoncini sono finiti incastrati ovunque, grazie alla perseveranza del loro creatore

Magari il mondo è cambiato grazie alla Perestrojka , ma prima che la rivoluzione politica cambiasse l’URSS un russo aveva già provveduto a cambiare per sempre il mondo dei videogame. Quel russo si chiama Alexey Pajitnov , all’epoca era studente dell’Accademia Sovietica delle Scienze a Mosca, e la sua carriera di game designer l’ha cominciata nientemeno che con Tetris .

Originariamente programmato su un sistema Elektronika 60 , clone russo del minicomputer americano PDP-11, Tetris resiste al passare dei lustri, al mutare delle mode e delle condizioni di mercato arrivando a rappresentare, 25 anni dopo la realizzazione del codice macchina originale, un archetipo e insieme un business che travalica le barriere di piattaforma, formati, prezzi e audience generazionali.

Pajitnov, che nel 1984 aveva 29 anni, dice di essere arrivato a concepire Tetris passando per tentativi intermedi, mettendo inizialmente assieme “ogni genere di puzzle matematici e passatempi che avevo amato in vita mia sin da quando ero piccolo”, fermandosi solo quando si è accorto di aver creato qualcosa di unico . “Il programma non era complicato – continua Pajitnov – non c’era punteggio, nessun livello. Ma ho cominciato a giocare e non potevo più fermarmi”.

Da quel momento in poi è cominciata una storia fatta di diritti di sfruttamento negati (su Tetris c’ha guadagnato lo stato sovietico/russo sino al 1996), conversioni, record del mondo e vendite, tante vendite. Dopo la versione originale per Elektronika 60, nel 1985 venne pubblicata quella per PC, una conversione che cominciò a diffondersi a macchia d’olio prima nell’est Europa e poi (due anni dopo) in Occidente, portando la succitata rivoluzione dei puzzle game prima ancora della caduta del muro di Berlino.

A quell’epoca Tetris era già un successo, ma diventò un fenomeno a partire dal 1988 , quando il publisher olandese Henk Rogers vide per la prima volta il gioco al Consumer Electronics Show di Las Vegas e subito si accorse della sua unicità. “La mia prima impressione fu che quel gioco era troppo semplice – dice ora Rogers – Poi ci ritornai e cominciai ancora a giocarci. E ancora. Presto mi resi conto che stava succedendo qualcosa, nessun altro gioco dello show aveva catturato la mia attenzione in quel modo”.

Rogers riuscì prima a guadagnarsi i favori di Pajitnov e poi a stringere un accordo con Nintendo, che in Tetris aveva visto il mezzo principale attraverso cui far passare il successo dell’allora nascente Gameboy, il nonno preistorico degli handheld videoludici moderni. Passano gli anni, Rogers licenzia Tetris a destra e a manca, Pajitnov si trasferisce negli States per lavorare come game designer presso Microsoft, ma la popolarità di Tetris non fa che crescere di generazione (videoludica) in generazione.

Se si chiede a Pajitnov il motivo di un successo così duraturo nel tempo , a cui pochi altri esempi posso accostarsi a parte l’ altrettanto immarcescibili Pac-Man , il designer risponderà definendo la sua creazione come “un buon programma” fondato sulla base della semplicità e della portabilità sopra tutto il resto. Il resto dei videogame degli anni ’80 e ’90, dice il designer, sono “morti” perché ai produttori e agli autori non interessava il destino di quelli che venivano visti come prodotti di intrattenimento con una durata commerciale molto limitata nel tempo, una scelta sbagliata soprattutto in virtù del fatto che oggi quella semplicità di idee è in pieno boom grazie all’esplosione del fenomeno del casual gaming su console, web, smartphone e dovunque siano disponibili uno schermo e un paio di tasti di controllo.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 4 giu 2009
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