Roma – Dopo il famigerato bug matematico della prima generazione di Pentium, dopo i mille problemi con il chipset i820, dopo l’ambiguo e travagliato matrimonio con Rambus, dopo le persistenti deficienze produttive di CPU di fascia alta, Intel avrebbe forse dovuto, e potuto, ponderare meglio i suoi passi successivi.
Se consideriamo che solo dopo pochi giorni di test ben due laboratori hardware hanno riscontrato, in contemporanea, anomalie nel funzionamento di questi chip, si può ben capire come il difetto poteva senza dubbio essere scovato da Intel in una fase un poco più rigorosa di beta testing.
Tuttavia appare evidente come la fretta di prendersi una rivincita su AMD, dopo che questa gli aveva soffiato il primato del GHz, e una nuova pressione che fino a pochi anni fa le era ignota, hanno trasformato la più grande azienda di microchip in una sorta di casa da gioco dove l’azzardo sembra ormai aver preso il posto del senno.
La crisi di Intel è senza dubbio iniziata nel momento stesso in cui AMD rilasciò l’Athlon, un’exploit da parte di quest’azienda che Intel non si aspettava e di cui sottovalutò l’importanza. Rispetto alla vecchia architettura P6 dei Pentium III, inaugurata da Intel 6 anni or sono con l’introduzione del Pentium Pro, l’Athlon può vantare un progetto più innovativo e a lunga portata, in grado tuttavia di concorrere con i prezzi dei Pentium III. Risulta chiaro come tutto ciò abbia portato Intel a cercare di allungare al massimo la vita della sua attuale generazione di processori, almeno fino all’arrivo sul mercato di massa del Pentium 4.
Nonostante le varie migliorie apportate al cuore dei Pentium III Coppermine, sembra evidente come l’attuale architettura x86 di Intel abbia ormai raggiunto i suoi limiti estremi e non abbia davvero più molte altre risorse da far valere. Come si è visto, infatti, una delle fonti d’instabilità del Pentium III ad 1,13 GHz sembra vada ricercata nelle alte temperature raggiunte da questa CPU, segno indubitabile di come Intel stia commercializzando processori overclockati in fabbrica, una pratica deprecabile, a quanto pare, solo se a farla sono gli utenti.