A mostrare l’atteso segnale di via libera è stata la Corte Suprema degli Stati Uniti. Le quattro sorelle del disco – Universal Music Group, EMI, Sony BMG e Warner Bros. – dovranno ora difendersi in aula, accusate di aver gettato sul mercato della musica digitale l’ombra di un vero e proprio cartello .
Il supremo giudice statunitense ha in sostanza confermato quanto già stabilito da una corte d’appello di Manhattan: a sostegno delle accuse è stato presentato un numero sufficiente di prove. Le grandi major avrebbero stretto accordi in gran segreto per arrivare ad una soglia condivisa di guadagni a partire da milioni di brani online .
Al centro delle accuse – l’azione legale aveva messo insieme una trentina di cause intentate sul territorio degli Stati Uniti tra la fine del 2005 e l’estate del 2006 – la presunta stipulazione di un patto sulle dinamiche di prezzo della musica digitale. Precisamente, una soglia condivisa di 0,70 centesimi di dollaro (circa 0,50 centesimi di euro) per ogni brano online.
In pratica , un vero e proprio cartello. Le major avrebbero iniziato ad allearsi fin dai tempi dei servizi MusicNet e Pressplay, ora collassati. Una sorta di cocktail a base di costosi abbonamenti annuali (una media di 240 dollari ad utente ) e meccanismi di DRM, rifiutati da competitor più economici come eMusic. Non a caso, le major si sono finora sempre opposte a fare affari con il rivenditore numero due negli Stati Uniti.
Mauro Vecchio