Warwick e il futuro della cibernetica

Warwick e il futuro della cibernetica

Fasci di muscoli messi in moto da microchip. La previsione dello scienziato-androide circa il destino dell'uomo
Fasci di muscoli messi in moto da microchip. La previsione dello scienziato-androide circa il destino dell'uomo

Segnali elettrici trasmessi al posto della parole. Memoria condivisa per lasciare al cervello umano la possibilità di pensare in più dimensioni. Una commistione di intelligenze, umana e artificiale, per arrivare all’uomo 2.0 . Kevin Warwick, entusiasta precursore dell’interazione cerebrale tra uomo e macchina, auspica un futuro fatto di elettrodi e sistemi nervosi collegati via Matrix Internet.

Il professore del Cybernetics Department dell’Università di Reading ha le idee chiare, e crede che l’umanità debba affrontare la scala dell’evoluzione guardandola da una prospettiva diversa: il concetto di tecnologia impiantata in tessuti umani (o viceversa) non dovrebbe spaventare ma aprire nuove vie della conoscenza finora inesplorabili .

Da più di 10 anni Warwick testa su se stesso soluzioni innovative che potrebbero trovare una collocazione in vari campi scientifici, soprattutto quello medico. Arti robotici controllabili attraverso il sistema nervoso, robot che pensano grazie a neuroni umani appositamente coltivati , anni fa Warwick aveva persino collegato il suo sistema nervoso a quello della moglie, ottenendo deboli scariche elettriche condivise.

Un futuro di umanità iperconnessa che incarnerebbe per certi versi quel’ Unus tanto caro ai neoplatonici , e per il cui raggiungimento Internet dovrebbe giocare un ruolo cruciale: Warwick lo aveva dimostrato quando da New York era riuscito a spedire dall’altra parte dell’Atlantico i propri impulsi cerebrali per controllare un braccio meccanico.

“La nostra percezione del mondo è troppo ristretta – spiega Warwick – voglio rendermi conto di quello che succede servendomi anche degli ultrasuoni, dei raggi ultravioletti, per citarne alcuni”. Lo scienziato britannico non risparmia neanche i canonici canali di comunicazione interpersonale: il linguaggio umano non è in grado di definire al 100 per cento il concetto da esprimere semplicemente applicando un significante a un significato: “Se potessi scambiare segnali elettrici esclusivamente attraverso il cervello – conclude – si potrebbe dare alla comunicazione interpersonale una forma e un’efficacia mai sperimentate prima”.

Giorgio Pontico

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Pubblicato il
15 feb 2010
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