15 anni di Facebook: l'era dell'Homo Globalis

15 anni di Facebook: l'era dell'Homo Globalis

15 anni di Facebook sono gli anni in cui siamo cambiati e maturati da Homo Sapiens a Homo Globalis: non è colpa di Facebook, ma qui tutto è successo.
15 anni di Facebook: l'era dell'Homo Globalis
15 anni di Facebook sono gli anni in cui siamo cambiati e maturati da Homo Sapiens a Homo Globalis: non è colpa di Facebook, ma qui tutto è successo.

15 anni fa è nato Facebook e più o meno 15 anni fa abbiamo messo il primo piede sul Web. Prima di allora lo guardavamo, dall’esterno, dietro un display, seduti alla scrivania come se fossimo di fronte ad una vetrina immensa e luccicante: all’ingresso un motore di ricerca ci spiegava dove avremmo potuto andare per trovare quanto desiderato, gli occhi si facevano attrarre da mille “gratis” luccicanti, ci spostavamo sul sito giusto e giù di letture e download. Poi però tutto ha iniziato inesorabilmente a cambiare, poco alla volta, perché in quel luogo ove cliccavamo abbiamo anche iniziato a viverci.

A cambiare è stato il nostro rapporto con il Web. Sarebbe semplicistico dire “è colpa di Facebook”, perché così in realtà non è. Prima di Facebook ci fu MySpace, ad esempio, dove eravamo tutti amici di Tom e dove capimmo forse per la prima volta di quale dimensione potesse essere questa grande – immensa – community. Ma provammo anche molti altri social, spostandoci spesso in massa tra un database e un altro poiché quello che stavamo cercando non era tanto un’interfaccia, quanto un luogo in cui stare assieme. Un codice linguistico con cui capirci. Un qualcosa che fosse più di una interfaccia su cui caricare chat e upload.

Questo è iniziato prima di 15 anni fa, ma con Facebook tutto ha subito una vorticosa accelerazione: la Rete, da meraviglioso mezzo, è diventato un luogo. Il luogo implica convivenza e intimità, implica rapporti personali e contrasti, implica regole e regole infrante. La trasformazione da mezzo a luogo non può essere indolore poiché in questo spazio hanno iniziato ad entrare le persone attraverso la propria identità: un flusso di dati personali è stato riversato in questo grande calderone, anonimi avatar dai nomi fantasiosi hanno iniziato a diventare persone reali, tutto è mutato giorno dopo giorno.

15 anni dopo, appena poche ore dopo le celebrazioni del compleanno di Facebook, scatta il Safer Internet Day: nel giro di poche ore celebriamo la causa-non-causa e declamiamo le conseguenze-non-conseguenze di quanto accaduto.

Ma non diamo ogni colpa a Facebook, né carichiamo noi stessi di troppe responsabilità. Quel che è successo è una maturazione complessa e abnorme dell’Homo Sapiens in Homo Globalis: nella mente di tre generazioni è scattata contemporaneamente una scintilla improvvisa di consapevolezza e dall’appartenenza ai campanili ci siamo trovati ad essere passeggeri di uno stesso pianeta, peraltro dalla salute instabile, ma per la prima volta interconnessi. La vastità di questa community ha iniziato a stridere rispetto alla velocità con cui qualsiasi comunicazione può essere veicolata, comprimendo spazio e tempo di questa dimensione nella singularity di un click.

Il sé autonomo, delimitato, borghese, è la forma di coscienza più adatta per confrontarsi con un mondo di vasti spazi fisici e risorse naturali abbondanti. La generazione attuale, invece, è più coinvolta nel tempo che nello spazio; è integrata in uan dimensione temporale più complessa e interdipendente, fatta di reti sempre mutevoli di relazioni e attività. Ovunque ci volgiamo, una potenziale connessione umana ci viene incontro.

Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso

15 anni dopo la nascita di Facebook ci ritroviamo ad essere persone diverse. Né migliori, né peggiori: il meglio e il peggio delle nostre identità viene riversato ogni singolo giorno su questa piattaforma ove ad emergere spesso non è né il meglio (soffocato dal rumore di fondo), né il peggio (filtrato e adombrato da dinamiche censorie), ma una terribile mediocrità. Ci ritroviamo ad essere persone diverse solo per un motivo: in questa immensa fucina di umanità possiamo rispecchiarci e, quando supportati da un minimo di senso critico, migliorarci.

Per esprimere al meglio il nostro essere animali di branco, abbiamo dovuto inventare le emoticon, creare un luogo virtuale in cui vivere, dotarci di dispositivi mobile tascabili e metterci una telecamerina di fronte per poterci stringere stretti stretti, sempre di più, sempre più a lungo. Sempre più soli, ma sempre più vicini; sempre più divisi, ma sempre più connessi.

15 anni dopo ci ritroviamo ad essere persone diverse, ma sempre profondamente umane. Facebook non ci ha cambiati, ma ha cambiato il nostro modo di osservarci l’un l’altro moltiplicando amore, odio, gelosia, generosità, accidia. Solo una cosa potrebbe averci eroso, ma lo ha fatto senza dolo (pur con innegabili responsabilità): l’empatia si è persa tra i bit, ma è comunque prevista dal sistema operativo del nostro DNA e se tutto va bene potremo reinstallarla presto. Basta un click.

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Pubblicato il
5 feb 2019
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