Amazon, suggerimenti al limite

Amazon, suggerimenti al limite

Non costituisce violazione di marchio proporre un prodotto simile a quello cercato dagli utenti: nessuna confusione viene generata presso il consumatore
Non costituisce violazione di marchio proporre un prodotto simile a quello cercato dagli utenti: nessuna confusione viene generata presso il consumatore

Proporre un prodotto concorrente al posto di quello ricercato dagli utenti su un negozio digitale non costituisce una violazione di marchio in quanto non rischia di generare confusione nel consumatore: a dirlo è il Giudice Barry Silverman della Corte d’Appello del Nono Circuito nel caso che vedeva Amazon contrapposta al produttore di orologi Multi Time Machine (MTM).

La questione è quella relativa ai risultati offerti dalle ricerche effettuate sulla piattaforma del negozio digitale relativamente agli orologi dall’appeal militare Special Ops di MTM: non essendo questi venduti da Amazon, il sito di Jeff Bezos (o meglio il suo algoritmo di ricerca) offre al loro posto soluzioni alternative, non comunicando all’utente la non disponibilità, ma limitandosi a mostrare i prodotti simili contenuti nel suo catalogo.

La vicenda, per la verità, risale al 2011, quando MTM aveva per la prima volta chiamato in giudizio il negozio digitale per la violazione di proprietà intellettuale: secondo la tesi accusatoria il diritto di esclusiva legato al suo marchio sarebbe minacciati dall’associazione dei prodotti della concorrenza ad una query collegata al nome dei suoi prodotti. Una mancanza di chiarezza che potrebbe indurre i consumatori ad acquistare un prodotto da un concorrente diretto.

In primo grado, tuttavia, il giudice aveva ritenuto che non ci fossero sufficienti basi per aprire un processo: differentemente ha considerato lo scorso luglio il Tribunale del Nono Circuito di Appello di San Francisco che, su una nuova causa depositata dal produttore di orologi, ha permesso al caso di procedere, arrivando tuttavia in ogni caso a dar ragione ad Amazon, che in questo caso era appoggiata da Google, Twitter, Pinterest, eBay e Yahoo , secondo cui il negozio non avrebbe potuto essere accusato di violazione di marchio “per la semplice possibilità di confusione di un consumatore ingenuo”. Anche Public Citizen e EFF erano intervenute in difesa della concorrenza.

Secondo il giudice Silverman , in particolare, i risultati offerti da Amazon non camuffano affatto il marchio dei prodotti presenti tra le sue offerte e quindi non c’è il rischio di creare confusione nei consumatori circa l’origine di un determinato prodotto.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
30 dic 2015
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