Apple, altra causa per la privacy

Apple, altra causa per la privacy

Dopo la class action sulle app spione, anche un altro utente denuncia Cupertino cercando chiarezza sulla trasmissione degli identificativi
Dopo la class action sulle app spione, anche un altro utente denuncia Cupertino cercando chiarezza sulla trasmissione degli identificativi

Un utente della California ha depositato una nuova causa contro Apple: tra le sue denunce, violazione della legge sulla registrazione delle comunicazioni e della privacy, tutto correlato alla condivisione delle informazioni raccolte da Cupertino sugli utenti dei dispositivi mobile.

A non convincere l’accusa sono il modo e le condizioni alle quali Apple condivide con gli inserzionisti le informazioni sui propri utenti relativi alla cronologia, all’utilizzo delle app ecc., raccolte senza il loro consenso sui dispositivi mobile.

Si legge infatti nella denuncia che “le condizioni sulla privacy di Apple sono opache e confuse, ma una cosa è chiara: non informa gli utenti che, fornendo agli sviluppatori il loro codice d’identificazione UDID, permette loro di collegare tutte le informazioni altamente personali (e in alcuni casi imbarazzanti) di un utente ad un nome”.

Non sarebbero sufficienti , per evitare questo rischio, neanche le rassicurazioni di Cupertino e la richiesta di consenso per passare le informazioni personali (come la geolocalizzazione) prevista al momento dell’accesso ad alcune app.

Fra le testimonianze portate a favore della propria tesi, uno studio universitario in materia e un articolo del Wall Street Journal di dicembre, in cui si spiega come gli sviluppatori, grazie all’identificativo dei dispositivi mobile messo a disposizione sia per le app iPhone che Android, possano risalire ad un nome, togliendo l’anonimato alle informazioni raccolte dall’utilizzo della app, dalla navigazione e dalla geolocalizzazione.

Apple, già tirata in ballo da un’ altra class action per motivi simili, non ha commentato la vicenda. In quella prima occasione, tuttavia, Cupertino aveva respinto le accuse e affermato che gli utenti non possono essere rintracciati dal marketing attraverso l’UDID o altri dati raccolti via app senza il suo consenso.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
2 feb 2011
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