L’inclusione delle minoranze è per le aziende una questione di vitale importanza: la costruzione di una immagine corporate trasparente passa anche attraverso l’ impegno ad aggiustare le percentuali di “quote rosa” e minoranze impiegate come forza lavoro. Lo sa bene Apple che un anno fa ha lanciato, alla stregua di molti altri concorrenti (si veda ad esempio
), il sito Apple Diversity . Si tratta di una vetrina utilizzata per presentare l’impegno dell’azienda volto a premiare la diversità e l’inclusione .
Apple ha ora aggiornato il suo sito tematico presentando i suoi progressi: ad una prima lettura appaiono per la verità a mala pena sufficienti, ma crescono di valore se comparati con l’immobilismo dei concorrenti. La differenza di genere non è proprio equilibrata come ci si aspetterebbe: gli uomini ancora una volta sono in maggioranza rispetto alle donne, 68 per cento contro 32 per cento . In un anno questa percentuale è stata spostata di un punto. Tra l’altro se si osservano i posti dirigenziali , le percentuali sono ancora peggiori: 72 per cento uomo e 28 per cento donna. Eppure Apple tiene a sottolineare che sono stati attuati diversi “movimenti” nell’ultimo anno: Denise Young Smith è diventata capo delle risorse umane, Lisa Jackson, vicepresidente per l’ambiente, politica e iniziative sociali. Hanno fatto carriera anche Susan Wagner e James Bell, che attualmente occupano poltrone direttive.
Se la questione di genere è ancora un punto aperto per Cupertino, leggermente meglio (ma solo in comparazione con i competitor) è la situazione per le minoranze etniche (che per Apple sono i neri, gli ispanici, i nativi hawaiani e altre isole del pacifico). Il 56 per cento dei lavoratori è bianco , il 19 per cento asiatico, il 12 per cento ispanico e il 9 per cento afroamericano. Percentuali in leggero bilanciamento specialmente se si considerano la crescita di ispanici e neri. Stando a quanto riporta BuzzFeed , a casa Facebook queste minoranze occupano rispettivamente appena il 4 e 2 per cento. Ancora peggio in Google dove la percentuale di neri è la stessa ma gli ispanici si fermano al 3 per cento. Alcuni critici fanno notare che i dati potrebbero però essere viziati dal fatto che Apple impieghi nei propri negozi lavoratori di etnie diverse per pagarli meno.
A prescindere dai numeri e dalle percentuali, forse il risultato migliore da riconoscere ad Apple è il raggiungimento della pay-equity . Finalmente nel 2016 e negli Stati Uniti, a parità di ruoli e performance donne e uomini, così come le minoranze etniche sottorappresentate ricevono la stessa identica paga. In precedenza si conta che il rapporto fosse 1 dollaro contro 99,6 centesimi (è la stessa Apple ad aver diffuso questo dato ). Stesso risultato è stato raggiunto anche da Microsoft e Facebook . Secondo la Casa Bianca il dato medio del Paese sarebbe di 1 dollaro contro 78 centesimi. Il problema è culturale in questo caso: in molti luoghi di lavoro (ne sa qualcosa Microsoft ) si è ancora convinti che certi ruoli tecnici non si prestino alle donne o ai cittadini di certe etnie. Negli ultimi anni la politica americana ha fatto però molto per combattere le discriminazioni salariali introducendo leggi che vietano differenziazioni dovute al sesso e all’etnia.
Se Apple come altre aziende vogliono progredire in maniera veramente equa devono necessariamente, “abbattere le barriere di razza e genere. Se hai una cultura di esclusione stai tenendo le persone fuori dall’industria” suggerisce l’attivista Jesse Jackson , che interpellato da BuzzFeed News si è complimentato, nonostante i modesti progressi, con Apple, bocciando invece Facebook: “Apple sta mostrando che una grande azienda tecnologica da 80.000 impiegati (sono 125mila nel mondo, ndr ) può spostare l’ago della bilancia a favore della diversità e dell’inclusione”.
Mirko Zago