Prevenire o reprimere?

Prevenire o reprimere?

di Marco Calamari - Voglio correre il rischio di saltare in aria su un aereo piuttosto che essere vivisezionato e magari inguaiato da investigatori che incrociano database invece di fare pedinamenti ed intercettazioni ambientali
di Marco Calamari - Voglio correre il rischio di saltare in aria su un aereo piuttosto che essere vivisezionato e magari inguaiato da investigatori che incrociano database invece di fare pedinamenti ed intercettazioni ambientali

Firenze – Basta prevenire, voglio la repressione!
No, non è demenza senile, ma solo il rovesciamento di una dicotomia la cui risoluzione sembrava, fino a pochi anni fa, una banalità che si apprendeva a scuola: la prevenzione era il bene, la repressione il male.

In un contratto sociale democratico lo Stato, per il bene dei suoi cittadini, ha il diritto di interferire, in certi casi ben delimitati, con il diritto alla libera scelta di ognuno; questo si sostanzia con il principio che “tutto quello che non è esplicitamente illegale è legale”. Sembra scontato ma non lo è. In questo contesto lo Stato si riserva non solo il diritto di reprimere comportamenti illegali, ad esempio i furti, ma anche quello di esercitare azioni preventive come quelle portate avanti da vari organismi di controllo; vedi ad esempio le attività di sorveglianza della polizia o quelle di ispezione sanitaria delle ASL.

Le cose pero’ cambiano, ed ancora una volta il motore del cambiamento è la Rete e la mutazione di abitudini, di stile di vita e di modalità di comunicazione ed interazione che ha comportato.

Le cose si evolvono anche oggi, anche in questo momento. Molti utenti della Rete percepiscono correttamente l’entità del cambiamento complessivo che essa ha causato, ma non percepiscono invece la dimensione e portata dei mutamenti oggi in atto, considerando inconsciamente il presente come un punto di arrivo destinato a durare. Non è così; questo modo di pensare è pericoloso perché fa allentare una “sorveglianza” democratica che è dovere di ogni cittadino (in quei paesi dove esistono ancora diritti civili, ovviamente).

Le informazioni e la telematica sono diventate ormai l’asse portante dell’economia e della società; ecco allora che le possibilità di esercitare una “prevenzione” aumentano a dismisura, e con le possibilità anche la tentazione di metterle in pratica.

Nessun potere pubblico, nessuno stato pare immune da questa tentazione. Ed ecco che diventano la regola cose come la data retention pervasiva e la sorveglianza in tempo reale con telecamere e software capaci di “prevedere le azioni” di chi è ripreso grazie a sofisticati algoritmi di “intelligenza artificiale”. La “stupidità naturale” del realizzare ed accettare queste soluzioni dovrebbe ormai essere familiare ai lettori di questa rubrica. Altrettanto familiare è la continua esortazione che ci martella ad accettare questa sorveglianza come un bene. Meno privacy per avere più sicurezza. Molti ci credono.

Quali le cause principali di questa spinta verso una sorveglianza di massa?
– La naturale tendenza di qualunque potere ad espandersi, sia esso economico o politico, in assenza di spinte equilibratrici
– La straordinaria efficacia dei sistemi moderni di tecnocontrollo, che consentono di usare la Rete per controllare il mondo materiale
– L’incredibile economicità e flessibilità dei sopradetti sistemi

E quali le conseguenze perverse?
– L’ovvia ma non scontata od enunciata inefficacia nel prevedere l’imprevedibile, che li rende inutili proprio nel combattere il motivo principale per cui sono realizzati, e cioè il terrorismo e la criminalità
– La dimostrata tendenza a ridurre od annullare le libertà civili
– La possibilità di abusi, e quindi di nuovi e diversi crimini, che come la cronaca già dimostra non sono ipotesi ma realtà
– La distruzione delle normali attività di intelligence e di investigazione che hanno difeso le società civili per secoli, in favore di un uso oracolare e perverso dei database; i “colpevoli tecnicamente perfetti” del caso Unabomber ne sono un esempio recente.

Come detto all’inizio, se questa è la prevenzione del futuro, voglio più repressione e meno prevenzione.

Voglio correre il rischio di saltare in aria su un aereo piuttosto che quello di essere vivisezionato continuamente e magari inguaiato da investigatori che incrociano database invece di fare pedinamenti ed intercettazioni ambientali. Non conosco nessuno che abbia avuto la rara disgrazia di cadere vittima di un attentato terroristico. Qui a Firenze è di gran lunga più facile essere ucciso da un motorino, che circolano regolarmente contromano e talora anche sui marciapiedi, evitando la possibile sorveglianza in tempo reale delle telecamere. Certo i criminali saranno anche più bravi a delinquere solo negli angoli morti.

Voglio correre un maggior rischio (quanto maggiore?) di essere rapinato la notte in piazza della Signoria piuttosto che avere la certezza di essere sempre osservato da una “Telecamera Amica” i cui dati spero finiscano dove devono, ma la cui distruzione non è normata o regolamentata in maniera trasparente per il cittadino (e solito non viene effettuata).

Vorrei vedere invece più polizia e vigili per le strade, con lo scopo di reprimere i reati quando e dove vengono commessi, invece di saperli seduti dietro una scrivania a guardare un monitor.

Voglio vedere (o meglio non vedere ma sapere che ci sono) più investigatori che impiegano tecniche tradizionali di indagine, piuttosto che saperli in camice bianco mentre interrogano database e deducono (spesso erroneamente) fatti che possono portare grosse rogne, e talora la galera, a degli innocenti. Sarà un caso ma di questi ultimi ne conosco e se ne conoscono tanti.

L’altra sera a “Porta a Porta” ho sentito (stranamente, dato il contesto) una frase intelligente che mi ha sorpreso piacevolmente e dato un briciolo di speranza. Un magistrato il cui nome non mi è noto (ero in fase di zapping, non seguo quelle trasmissioni) ha chiaramente detto (sintetizzo) che l’uso smodato delle intercettazioni sta stravolgendo negativamente i metodi di indagine dei giudici e degli investigatori. Auguro fervidamente alla suddetta signora di diventare rapidamente Ministro dell’Interno e di poter mettere in pratica rimedi a questa perversa tendenza. Nell’attesa pero’ rimango preoccupato.

Marco Calamari

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Pubblicato il 30 mar 2007
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