Ci fidiamo a malapena di ChatGPT, e delle altre intelligenze artificiali ancora meno. È la sintesi brutale del Generative AI and News Report 2025 pubblicato dal Reuters Institute e dall’Università di Oxford. Lo studio ha chiesto a oltre 12.000 persone in sei paesi cosa pensano davvero degli strumenti di AI generativa che ormai sono ovunque.
Il risultato? Solo circa un terzo degli intervistati dice di fidarsi di ChatGPT, e per tutte gli altri chatbot i numeri crollano.
Solo ChatGPT, Gemini e Copilot conquistano la fiducia delle persone
L’indagine è stata condotta in Francia, Regno Unito, Danimarca, Stati Uniti, Giappone e Argentina, sei paesi con culture digitali molto diverse che offrono uno spaccato interessante di come l’umanità percepisce queste macchine che pretendono di essere intelligenti. E la risposta è: con molta, molta prudenza.
Non tutte le intelligenze artificiali appaiono uguali, almeno agli occhi del pubblico. ChatGPT domina la classifica della fiducia con un distacco che fa sembrare gli altri competitor dilettanti allo sbaraglio. Circa un terzo degli intervistati afferma di fidarsi di ChatGPT, un punteggio nettamente superiore a qualsiasi altro chatbot.
Dietro c’è Gemini di Google con circa un quinto di opinioni favorevoli, seguito da Copilot di Microsoft e Meta AI, entrambi attorno al 10-12%. Poi c’è il vuoto cosmico. Claude, Perplexity, Grok, DeepSeek, tutti nomi che suonano familiari agli appassionati di tecnologia, ma che per il grande pubblico potrebbero essere personaggi di un anime giapponese, rimangono ben al di sotto di questi livelli, spesso perché la gente semplicemente non sa che esistono.
Il report precisa che queste differenze riflettono prima di tutto la familiarità degli utenti con ogni prodotto. Gli strumenti integrati in servizi usati quotidianamente, motori di ricerca, app di messaggistica, suite per ufficio, hanno una maggiore visibilità, e quindi di un capitale di fiducia più elevato.
La familiarità genera fiducia
Una parte significativa degli intervistati ha ammesso di non conoscere certi strumenti, il che limita la loro capacità di valutarne l’affidabilità. È difficile dire se ci si fida di Perplexity quando la prima reazione è Perple-cosa?
. I modelli più recenti o meno diffusi soffrono di un deficit di notorietà che si traduce automaticamente in assenza di fiducia, non perché siano necessariamente peggiori ma perché sono invisibili.
Questa tendenza conferma un’osservazione già formulata l’anno scorso dal Reuters Institute, la fiducia segue la curva di adozione. Gli utenti tendono a fidarsi di più dei prodotti che usano regolarmente o che appartengono ad aziende che identificano e percepiscono come stabili. È per questo che ChatGPT e Gemini mantengono un netto vantaggio sui concorrenti, mentre Meta AI, DeepSeek o Grok faticano ancora a ispirare la stessa sicurezza.
Ma la fiducia resta globalmente moderata, anche per gli strumenti più noti. Nessun sistema supera un livello maggioritario di fiducia nei paesi studiati. Il pubblico sembra considerare queste tecnologie come potenti ma ancora poco affidabili. Insomma, la notorietà da sola non basta a dissipare i dubbi.
Differenze culturali
L’aspetto più interessante dello studio sono le differenze culturali marcate nel rapporto di fiducia con le gli strumenti AI.
Gli intervistati del Giappone e dell’Argentina si mostrano i più fiduciosi. Il Reuters Institute attribuisce questo a una combinazione di familiarità con LE tecnologie di assistenza e un’immagine più positiva dell’innovazione digitale. Questi pubblici si mostrano anche meno preoccupati dai rischi di disinformazione, senza però ignorare completamente le questioni di trasparenza.
In Europa, la tendenza è più riservata. In Francia, Danimarca e Regno Unito, la fiducia verso L’ai resta bassa e progredisce lentamente. I francesi sono tra i più scettici. Il Reuters Institute nota che questi paesi condividono una sensibilità più marcata alle questioni etiche e ai rischi di manipolazione, spesso alimentata da dibattiti pubblici più accesi sull’uso dell’AI.
Gli Stati Uniti si collocano in una posizione intermedia, con livelli di fiducia vicini a quelli osservati in Europa, ma per ragioni diverse.
La fiducia cresce più lentamente dell’adozione
Nessuno dei sei paesi studiati fa eccezione a una tendenza generale, la fiducia progredisce più lentamente dell’adozione. Significa che sempre più persone usano strumenti di IA senza fidarsi davvero di loro.
Il Reuters Institute nota anche che, anche se il pubblico riconosce il potenziale delle AI nella produzione di informazioni, una maggioranza stima che devono restare strumenti di assistenza piuttosto che di creazione autonoma. Gli utenti si dicono favorevoli al loro uso per compiti di supporto, come riassunti, traduzioni, aiuto alla ricerca, ma molti esprimono riserve all’idea che contenuti giornalistici siano interamente generati da ai senza supervisione umana.
È una posizione ragionevole che riflette un istinto di autoconservazione collettivo. va bene usare l’AI come aiuto, ma non deve sostituire completamente il giudizio umano, specialmente quando si tratta di informazioni che influenzano le nostre opinioni e decisioni.