Cloudflare ha comunicato al governo statunitense che Piracy Shield rappresenta una barriera al commercio digitale, in quanto impone ai provider cloud il blocco dell’accesso ai siti pirata. L’azienda ha evidenziato che la piattaforma ha causato numerosi effetti collaterali, come l’impossibilità di accedere a Google Drive. Sotto accusa anche una recente delibera di AGCOM che riguarda le CDN.
Piracy Shield ostacola il libero commercio
Ogni anno, l’ufficio dello United States Trade Representative (USTR) pubblica il National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers. Si tratta del report che illustra gli ostacoli alle esportazioni statunitensi introdotti dai paesi stranieri. Tra le segnalazioni ci sono spesso quelle di aziende che sollecitano misure più efficaci per bloccare la pirateria audiovisiva. Quest’anno, per la prima volta (l’anno scorso sono stati inviati commenti a nome della I2Coalition), Cloudflare ha partecipato alla consultazione, evidenziando l’esatto opposto, ovvero che le suddette misure ostacolano il libero commercio.
Nel documento (PDF) sono elencate le iniziative implementate da cinque paesi: Italia, Spagna, Francia, Giappone e Corea del Sud. Per quanto riguarda l’Italia, Cloudflare sottolinea gli effetti collaterali di Piracy Shield.
La piattaforma è una delle misure che, secondo Cloudflare, ostacolano le attività commerciali dei provider CDN, DNS e VPN statunitensi. L’obbligo di bloccare l’accesso ai siti pirata entro 30 minuti dalla segnalazione ha causato danni collaterali, come il blocco di un indirizzo IP di Cloudflare e di un dominio di Google Drive.
L’azienda californiana aggiunge inoltre che l’estensione di Piracy Shield ai provider CDN e DNS minaccia l’accesso al mercato dei servizi digitali in Italia. A causa della mancanza di trasparenza, alcuni provider VPN hanno chiuso le attività.
Durante un recente convegno, il Presidente di AGCOM ha evidenziato che la percentuale di errori della piattaforma è molto bassa e che Cloudflare non collabora al contrasto della pirateria. La Lega Serie A aveva denunciato l’azienda californiana, ma il tribunale di Milano ha stabilito che non è obbligata ad iscriversi a Piracy Shield.
Nel documento inviato da Cloudflare sono evidenziate altri due ostacoli al libero commercio. I titolari dei diritti d’autore abusano del sistema giudiziario per ottenere ordini di blocco o rimozione dei contenuti, senza consentire alle aziende il diritto alla difesa.
AGCOM ha infine approvato una delibera che impone alle CDN di ottenere un’autorizzazione sulla base del Codice delle comunicazioni elettroniche. Secondo Cloudflare, questo obbligo causerà un incremento dei costi e porterà probabilmente all’applicazione di una “commissione di rete” a favore degli operatori di telecomunicazioni, come sottolineato anche dalla CCIA Europe.