Condividere l'abbonamento AI: 7 rischi da non sottovalutare

Condividere l'abbonamento AI: 7 rischi da non sottovalutare

Condividere l'abbonamento AI con amici o familiari sembra innocuo, ma è molto più pericoloso di quanto sembri. Ecco perché non farlo.
Condividere l'abbonamento AI: 7 rischi da non sottovalutare
Condividere l'abbonamento AI con amici o familiari sembra innocuo, ma è molto più pericoloso di quanto sembri. Ecco perché non farlo.

Condividere la password di Disney Plus con la famiglia è un classico. Spotify con gli amici, idem. Ma condividere l’accesso al proprio account ChatGPT, Gemini o Claude… Ecco, questa è tutta un’altra storia.

Non è come dare a qualcuno la possibilità di guardare un film o ascoltare musica. Eppure gli abbonamenti all’intelligenza artificiale sembrano innocui da condividere, soprattutto considerando quanto costano. Ma questi strumenti memorizzano i propri prompt, elaborano dati personali e, quando si attivano le funzioni di memoria, ricordano anche le proprie preferenze, i propri problemi, pesino le domande più imbarazzanti.

Quando si condivide il proprio account, non si dà solo l’accesso a un chatbot. Si cede la propria identità digitale, le conversazioni passate e le informazioni potenzialmente sensibili che non si ricorda nemmeno di aver condiviso.

Abbonamento AI condiviso: i 7 pericoli nascosti che mettono a rischio la privacy

I chatbot non sono più semplici assistenti che rispondono a domande generiche. Si sono evoluti in strumenti profondamente integrati nella vita digitale: email, browser, documenti di lavoro, calendario, ecc.

Questo significa che la propria cronologia potrebbe includere ricerche su problemi di salute, bozze di email delicate, negoziazioni di lavoro, informazioni sulla famiglia, domande che non si farebbero mai ad alta voce in pubblico. E le funzioni di compilazione automatica e memoria possono far emergere questi dati anche quando qualcun altro apre una nuova chat.

Con le integrazioni collegate, Gemini che si connette a Google Workspace, ChatGPT che si integra con Spotify e Canva, Claude che accede ai propri documenti, c’è un ulteriore livello di rischio. Qualcuno potrebbe accedere ai file senza nemmeno rendersene conto, semplicemente facendo una domanda innocente al chatbot.

Alcuni strumenti conservano il contesto delle conversazioni precedenti, il che significa che un altro utente potrebbe attivare accidentalmente le proprie query passate e ricevere risposte basate su informazioni condivise giorni o settimane prima.

In sostanza, più questi strumenti diventano personali e potenti, più è pericoloso condividerli. Ecco sette motivi concreti per cui non si dovrebbe mai dare le credenziali del proprio account AI a nessuno.

1. Tutta la cronologia diventa visibile

Ogni domanda fatta, ogni bozza di lavoro scritta e riscritta, ogni progetto, ogni richiesta di budget, idea imprenditoriale abbozzata malamente. È tutto lì, in bella vista. Molte persone non si rendono conto di quante informazioni sensibili contengono i chatbot AI. Conversazioni che non si vorrebbero mostrare nemmeno al proprio migliore amico, figurarsi a un cugino che ha solo bisogno di “usare ChatGPT per un attimo”.

Cosa potrebbe vedere qualcun altro?

  • Le domande sulla salute mentale che non si ha il coraggio di fare a uno psicologo;
  • Le preoccupazioni mediche che si stava indagando prima di andare dal dottore;
  • Le domande imbarazzanti su qualsiasi cosa non si vorrebbe ammettere pubblicamente;
  • Le bozze di messaggi a persone con cui si è in conflitto;
  • I calcoli finanziari personali per capire se ci si poteva permettere qualcosa.

È come lasciare il proprio diario aperto sulla scrivania. Solo che è peggio, perché probabilmente non ci si ricorda nemmeno tutto quello che c’è scritto…

2. Il contesto automatico tradisce i propri segreti

Le funzioni di memoria di ChatGPT, Gemini o Claude sono comode, ma diventano un problema quando qualcun altro usa il proprio account. Queste funzioni possono far emergere le proprie preferenze o dettagli passati all’interno di una nuova conversazione. E non parliamo solo di preferenze innocue, ma anche di informazioni strettamente personali.

Immaginiamo questo scenario: un amico usa il proprio account per chiedere consigli su un regalo. Il chatbot, che ricorda perfettamente che si sta cercando lavoro e che si hanno problemi economici, potrebbe integrare queste informazioni nella risposta: Considerando il budget limitato di cui abbiamo parlato…

Il problema, è che non si ha alcun controllo su quando e come il chatbot fa riferimento alle conversazioni precedenti e integra quelle informazioni in una nuova risposta.

3. La confusione di personalità

Se si usa l’intelligenza artificiale per scrivere, programmare o fare ricerche, vuol dire che il chatbot conosce il proprio stile, il tono, il tipo di progetti su cui si lavora. Ha imparato a dare risposte su misura. Quando qualcun altro inizia a usare lo stesso account, questa personalizzazione va a farsi benedire. I suggerimenti di un’altra persona inquinano il modello di riferimento del chatbot.

4. Gli accessi collegati aprono tutte le porte

Se il proprio account è collegato a servizi come Google Drive, Gmail, GitHub, Slack o Notion, e probabilmente lo è, si dà a qualcun altro l’accesso a tutti questi strumenti. Un altro utente potrebbe accedere o manipolare involontariamente i contenuti collegati. Potrebbero leggere le proprie email. Modificare i documenti di lavoro. Vedere i progetti su GitHub. Tutto senza nemmeno rendersi conto di quello che stanno facendo.

Per permettere a qualcuno di usare il proprio account in sicurezza, si dovrebbe scollegare tutti questi servizi. Poi, quando quella persona ha finito, si dovrebbero ricollegare di nuovo. Ma non ne vale assolutamente la pena solo per risparmiare qualche euro di abbonamento.

5. I dettagli di pagamento sono esposti

Ora che ChatGPT ha funzionalità di acquisto integrate, le proprie informazioni di fatturazione, le ricevute e le impostazioni di abbonamento sono facilmente accessibili a chiunque abbia effettuato l’accesso al proprio account. Per il momento nel nostro Paese la funzione non è ancora disponibile, ma se lo fosse, qualcun altro potrebbe fare acquisti a proprio nome.

6. Violare i termini di servizio

La maggior parte delle aziende di AI non consente la condivisione degli account. Non è una raccomandazione, è proprio vietato nei termini di servizio accettati al momento dell’iscrizione. Le conseguenze possono essere serie:

  • Account bloccato senza preavviso;
  • Segnalazione per attività sospette;
  • Obbligo di verificare nuovamente la propria identità (e buona fortuna se qualcun altro ha usato l’account nel frattempo).

Alcuni fornitori usano segnali comportamentali per rilevare utenti multipli, come modelli di digitazione diversi, identificativi dei dispositivi, posizioni geografiche che cambiano troppo rapidamente. Non è difficile per loro capire che qualcosa non torna.

E se si usa l’intelligenza artificiale per lavoro? Permettere ad altri di accedere al proprio account potrebbe violare le regole sulla condivisione dei dati dell’azienda, i requisiti di conformità o altri accordi.

7. Si è responsabili di tutto quello che gli altri fanno

Questo è forse il rischio più sottovalutato e anche il più grave. Con la cronologia dei prompt, lo stile vocale memorizzato e i dati personali salvati, un altro utente potrebbe generare contenuti con il proprio stile e tono. E non si ha alcun controllo su cosa decidono di creare.

Ma era mio cugino che usava l’account!” non è una difesa accettabile. La responsabilità è dell’utente a cui è intestato l’account. Punto.

Anche condividere l’account con i familiari che vivono insieme comporta dei rischi:

  • I bambini possono accedere accidentalmente a conversazioni private tra adulti;
  • Le funzioni di memoria possono far emergere informazioni sensibili in momenti inopportuni;
  • Le applicazioni collegate come Gmail o Drive possono rivelare molto più di quanto si vorrebbe;
  • La cronologia di navigazione o di ricerca diventa accessibile a tutti;
  • I suggerimenti misti compromettono la personalizzazione per tutti.

Insomma, risparmiare qualche euro al mese non vale la pena quando in gioco ci sono i propri dati personali, la privacy e potenzialmente la propria reputazione professionale. I rischi superano di gran lunga i costi.

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Pubblicato il
25 nov 2025
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