Contrappunti/ È ancora social network

Contrappunti/ È ancora social network

di M. Mantellini - La bolla sembra si stia sgonfiando, ma restano le aspettative sulla vera next big thing. Google sperimenta, e ovviamente non è la sola
di M. Mantellini - La bolla sembra si stia sgonfiando, ma restano le aspettative sulla vera next big thing. Google sperimenta, e ovviamente non è la sola

Ci sono due notizie importanti che riguardano i social network in questi giorni. La prima è quella del fragoroso ingresso in campo di Google Wave , la piattaforma sociale di Google che è stata presentata agli sviluppatori durante un evento apposito alla fine di maggio. La seconda, apparentemente assai meno importante, quella dell’acquisto di una briciola di Facebook (circa l’1,9 per cento) da parte di una società russa per la bella cifra di 200 milioni di dollari.

Google Wave è un progetto che nasce nell’ormai usuale stile Google: un ambiente aperto, appoggiato solidamente ad altre applicazioni di grande successo come Gmail e Gtalk che però, a differenza di altre applicazioni di casa, Google ha deciso di orientare in maniera significativa verso gli ambienti collaborativi e professionali. La scommessa, per nulla facile, è quella di costruire un unico ambiente di rete che unisca, posta elettronica, chat, status update, video conferenza e condivisione di progetti, a costruire una nuovo luogo comunicativo in rete. Una sorta di nuova abitudine conversazionale che Google chiama “realt-time collaboration”.

L’eventuale prossimo successo di Wave non sarà per una volta legato solo alla bontà della piattaforma, alla sua facilità di utilizzo o alla sua capacità di collegare pratiche di rete, ma alla scommessa di interessare una quantità di nuovi utenti che vadano ad aggiungersi agli “heavy user” ed ai patiti delle nuove diavolerie sociali in rete e rappresenta in ogni caso una contrapposizione molto netta e quasi ideologica alla nota chiusura della piattaforma di Facebook.

L’ingresso della società russa Digital Sky Technologies nell’azionariato di Facebook è invece interessante per un motivo forse opposto. I duecento milioni di dollari spesi per entrare in Facebook sono circa la metà della cifra che un anno e mezzo fa Microsoft ha pagato in una operazione analoga. Se volessimo dedicarci un po’ all’analisi finanziaria creativa dovremmo forse crudelmente affermare che oggi Facebook vale, in denaro contante, la metà di pochi mesi fa: in alternativa potremmo provare a dire, smentendo tutte le valutazioni di allora, che Microsoft a suo tempo abbia strapagato il suo misero 1,6 per cento del social network di Mark Zuckerberg.

In realtà è oggi importante ricordare che Facebook ha superato la bella cifra di duecento milioni di utenti senza che nessuno abbia ancora capito con chiarezza come riuscirà a far soldi per potersi mantenere e ripagare i cospicui finanziamenti ricevuti in questi anni.

Google da parte sua non ha mai investito troppo nel mondo delle reti sociali, forse per proprio atavico disincanto. L’esempio forse più eclatante di questo disinteresse è Blogger, nata e cresciuta alla fine degli anni ’90 come la più importante piattaforma di blog, acquisita da Google ormai molti anni fa e lasciata colpevolmente languire con modestissimi successivi sviluppi. Le ragioni di questa scelta sono discretamente misteriose e possono essere di vario tipo, l’unica cosa che non si può pensare è che Google non avesse talenti e risorse per rendere la propria piattaforma di blogging più moderna e attuale.

Cosi Blogger è negli anni precocemente invecchiata lasciando il passo a nuovi sistemi di editoria personale come WordPress o Tumblr e si è andata a sommare all’elenco di alcune successive acquisizioni di Google nell’ambito dei software sociali come Jaiku (una sorta di anti-Twitter dei primordi) o il social network Orkut che non sono poi stati adeguatamente supportati nelle loro necessità di sviluppo.

Ci sono ragioni per pensare che Google abbia sposato l’idea di alcuni, secondo la quale gli ambienti di rete sociale sono pochi adatti alla pubblicità, così come è lecito pensare che le quotazioni in discesa di Facebook al borsino dei grandi investitori siano legate a ragioni e diffidenze del medesimo segno. Girovagando per convegni e incontri di tecnologi sempre meno spesso si ascoltano frasi, molto frequenti fino a un anno fa, del tipo “Facciamo i soldi con un social network” e questo è certamente un bene. Contemporaneamente nelle ultime settimane si registra un massiccio sbarco su Twitter, su Friendfeed e su Facebook di comunicatori professionali ed aziendali desiderosi di approfondire le potenzialità del mezzo.

La strategia è sempre la stessa: invadere gli ambiti sociali, i luoghi di rete dove le persone si incontrano per scambiare sensazioni, pensieri e informazioni, con i propri prodotti.

Così non meravigliatevi se un nuovo modello di auto vi chiederà di esservi amico su Facebook o se una piccola casa editrice, un politico a caso o una ditta di pelati inizierà a seguire i vostri interessantissimi update su Twitter.

Si tratta di piccole prove tecniche di qualcosa che probabilmente non funzionerà. E non è nemmeno di una tattica completamente sbagliata: semplicemente si fa l’unica cosa possibile, si marca il terreno, nell’attesa che qualcosa accada, anche se non si sa bene che cosa. Che è un po’ ciò a cui pensa ogni sera Mark Zuckerberg prima di addormentarsi.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
3 giu 2009
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