Contrappunti/ Come volevasi dimostrare

Contrappunti/ Come volevasi dimostrare

di Massimo Mantellini. C'è voluto un anno per disporre di una interpretazione formale del senso della legge sull'editoria. Ora è finalmente arrivata e ne è confermato lo spirito anti-libertario che ha prodotto un'ampia protesta
di Massimo Mantellini. C'è voluto un anno per disporre di una interpretazione formale del senso della legge sull'editoria. Ora è finalmente arrivata e ne è confermato lo spirito anti-libertario che ha prodotto un'ampia protesta


Roma – Cosa si cela dietro le parole di Paolo Bonaiuti il quale la settimana scorsa ha definito “aberrante che ci si possa nascondere dietro l’anonimato di alcuni siti per diffondere notizie che sui prodotti editoriali tradizionali porterebbero a sicure sanzioni civili e penali”?

Abbiamo dovuto attendere un anno per avere una reale interpretazione circa lo spirito della nuova legge sull’editoria. Una legge voluta dall’intero schieramento parlamentare per esaudire le spinte lobbistiche dell’Ordine dei Giornalisti ed il bisogno di finanziamenti statali della grande editoria. Oggi dalle parole del sottosegretario con delega all’editoria traspare finalmente come tale legge sia stata tutto tranne che un provvedimento di semplice incentivazione economica come in molti avevano sostenuto.

I 50 miliardi di vecchie lire promessi in questi giorni dal governo per i new media sono del resto poca cosa per un ambiente, quello editoriale, che chiede da sempre sovvenzioni per ogni tipo di crisi (da quella della carta a quella della pubblicità a quella del numero dei lettori) e sono ancor meno per un sistema politico che, tanto per citare numeri di dominio pubblico, nel 2000 ha finanziato nove cosiddetti giornali di partito per circa 44 miliardi, consentendo la sopravvivenza degli organi di stampa di importanti movimenti politici come “Convenzione per la giustizia” che stampa “Il Foglio” o del “Movimento unito pensionati vivi” (giuro, si chiama così) che produce “Il Giornale d’Italia”.

Le aberrazioni di cui parla Bonaiuti e la sua concezione dell’anonimato sono poi preoccupanti per almeno un paio di motivi: perchè Bonaiuti, nonostante tutto, è un giornalista e dovrebbe sapere che spesso, specie oggi nella vorticosa accelerazione della comunicazione elettronica, l’anonimato può essere un valore e non necessariamente una iattura e perchè tali prese di posizione sono l’espressione di un punto di vista trasversale che accomuna i firmatari della legge 62/2001 promulgata nella precedente legislatura dall’ Ulivo ed il nuovo esecutivo di centrodestra, in una identità di vedute che – senza voler essere eccessivamente maligni – abbiamo di recente trovato solo nella plebiscitaria e rapida approvazione della nuova legge sul finanziamento ai partiti.

Sono due esempi concreti del potere che tutela se stesso, aumentando la distanza che separa le istituzioni dal mondo reale: lo stesso pericoloso cortocircuito che ormai in Italia contrappone chi in nome della corretta informazione (quella per intenderci sovvenzionata più dallo Stato che dai lettori e condizionata più dagli investimenti pubblicitari che dal livello dei contenuti che propone) tenta in ogni maniera di limitare la libera circolazione della informazione: specie in tempi in cui tale rapida circolarità ha trovato in Internet un media efficacissimo.

Se le cose stanno così tutto il resto è un inutile corollario e passa perfino la voglia di ricordare le patetiche giustificazioni degli estensori del progetto di riforma sulla legge dell’editoria, i diessini Giulietti e Chiti, che nei giorni successivi all’approvazione si affannavano a tacitare le proteste che arrivavano inattese dalla rete Internet con interpretazioni riduttive del provvedimento, oggi definitivamente smentite dal sottosegretario Bonaiuti.

Difficile non leggere le ultime utili specificazioni di Bonaiuti per quello che sono: un aiuto evidente non tanto economico quanto piuttosto fortemente ideologico al controllo dell’informazione, sia che ciò avvenga attraverso un accesso limitato alla professione giornalistica (inutile ricordare che un Ordine dei Giornalisti così esiste solo in Italia) sia che tale scopo sia raggiunto per tutti gli altri “non giornalisti” attraverso trappole burocratiche di varia natura per quanti vorranno continuare ad usare il web per comunicare: l’iscrizione in registri comunali inesistenti, il pagamento di tasse di presenza in vita di siti web a contenuto editoriale o l’individuazione di direttori responsabili, stampatori e contributori perfino per banali siti web amatoriali di collezionisti di conchiglie. Anche in questo caso siamo di fronte ad una voglia di regolamentazione che non trova riscontro in altre nazioni europee esclusa forse la Spagna e la Turchia .

I 54.311 firmatari della petizione di PI – ora con il senno di poi lo si può affermare tranquillamente – avevano visto giusto: non di una banale legge di accesso alle sovvenzioni statali per i nuovi media si trattava ma di un provvedimento legislativo con evidenti contenuti di controllo e indirizzo. L’unica illusione rimasta viva per qualche tempo, che tale brutta legge fosse un infortunio semantico del legislatore e potesse essere emendata o interpretata, è stata di breve durata. Già il muro di gomma che la petizione consegnata al Governo da Punto Informatico ha fin da subito incontrato, al Ministero delle Comunicazioni, presso esponenti della Commissione Cultura e persino presso gli uffici del Presidente della Camera Casini, doveva far capire che tipo di provvedimento granitico si stava tentando di intaccare.

E così ecco il Palazzo da una parte e gli utenti della rete internet dall’altra, in una incomunicabilità ormai assoluta che nemmeno l’alternanza di governo sembra in grado di interrompere. Altro che governo delle 3 “I”! Viene invece in mente una vecchia bellissima vignetta di Altan nella quale il pilota di un vecchio aereo scalcagnato sta volando in mezzo alle nuvole e dice più o meno: “Non so dove sto andando, purtroppo però so pilotare”.

Ecco, oggi saper governare in Italia sembra diventato proprio questo: un esercizio privato nelle mani di pochi – proprio come saper impugnare una cloche – del tutto scollegato dai problemi reali, dalle esigenze di libertà, dagli interessi dei più. In questo panorama deprimente si sta apparecchiando un piccolo banchetto per i soliti noti del mondo editoriale sbarcati sul web (e per tale coraggiosa scelta opportunamente sovvenzionati) mentre per tutti gli altri, per gli utenti della rete Internet che curano un sito web più o meno informativo, per quel sempre maggior numero di persone che scelgono l’informazione piuttosto che essere da essa scelti, la vita sarà forse un po’ più complicata e pericolosa.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il 29 lug 2002
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